venerdì 12 agosto 2016

Ode a un fotogramma di pece o pace

Poi salendo, salendo
s'aprì una finestra di pece 
altri dissero ch'era una finestra di pace
ad ogni modo
aveva neri  i bordi 
e in mezzo bianca
una cima aguzza
carezzata da una nuvola tonda
così petrolio e neve e aria 
fecero a un tratto 
uno sguardo sul mondo.

D'improvviso, salendo, 
-salendo più in alto-
una finestra
tra la pioggia e i piedi
e in mezzo nulla
-nessun vivente, albero, tramite o volto- 
solo pietre e scarpe 
e cime aguzze 
a assorbire il dono 
così materiale del cielo

E l'impermeabile finestra 
sospesa a mezz'aria
coi suoi quattro bordi 
-pece o pace o madre-
tra un mondo e l'altro
a cullare l'occhio
a restringere il campo
-vertiginoso, troppo grande-
del viaggiatore stanco
dal troppo guardare

Così sotto la finestra, 
sta una panchina:
riposa, viaggiatore,
a testa in giù 
dopo tanta salita,
i piedi alla finestra
gli occhi alla terra scura, 
riposa e non guardare,
il tuo occhio è una finestra
e tu ora la chiudi,
pece o pace o una palpebra
mentre si scioglie un ghiaccio
echeggia un'eco
rotola un sasso
e la finestra non è già più la stessa.

Si alza il viaggiatore
con un fotogramma 
tra testa e cuore.
Inforca anima e piccone:
per affacciarci
alla pensilina del mondo,
pece o pace o vita,
siamo fatti appena.



                (manca la foto)

1 commento:

  1. Pregevole e prezioso ologramma intriso di ricercate parole, come sempre in bilico tra malinconia e felicità estrema.

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