giovedì 25 agosto 2016

Il mio amore era un bambino

Il mio amore era un bambino 
non sapeva le parole
e indicava con le dita
-meravigliandosi-
tutte le cose.

Era un bambino
con gli occhi paffuti
con le guance azzurre
e un cielo di capelli
Era rosa, era nuovo
e voleva amare
-capriccioso, presuntuoso-
e voleva amarti 
-con le mani, con la bocca
con i piedi-
e voleva nominarti 
-con ninnoli, con strenne-
e, per semplificarsi,
che di questo mondo 
ogni cosa facesse il tuo suono.

Perché era un bambino 
con occhi paffuti
e voleva mangiare l'amore
succhiarlo di notte
con sette poppate
e poi dormire 
tutto pieno di latte
ridendo a crepapelle
della sua pancia tesa 
e poi svegliarsi e piangere
perché ancora e ancora
perché mai basta
perché no, perché sì.

Perché era un bambino 
con le guance azzurre
tutto cielo
ed era il più bello
-così credeva-
ed era il più bravo
-così pensava-
ed era l'unico 
-così s'illudeva-
e voleva amare
superbo, fastidioso
e voleva amarti
volando sulle case e sulle mucche 
e sugli abiti di gesso degli adulti
era un quadro di Chagall
e non ti lasciava andare
e ti diceva in note e pianti 
ti accordava in mandolini
ti baciava coi tulipani.

Perché era un bambino 
rosa, nuovo 
venuto dalla cenere
tornato dalla morte.

Il mio amore era un bambino

Il mio amore è un vecchio stanco
sta s'un uscio addormentato
non aspetta
tesse il tempo s'una tela
dice troppo
ma più non rivela.

Non ricorda
e poi è caldo
gli fa male a star supino
e la pensione è un poco scarna.
Parla parla 
con la voce un po' spezzata.

S'accarezza poi una ruga:
su quel solco
anni orsono
ti ha sorriso.
Così adesso tiene il segno
del suo libro,
quel mio amore 
che una volta era un bambino.


              M.Chagall, Sun of Paris





venerdì 12 agosto 2016

Ode a un fotogramma di pece o pace

Poi salendo, salendo
s'aprì una finestra di pece 
altri dissero ch'era una finestra di pace
ad ogni modo
aveva neri  i bordi 
e in mezzo bianca
una cima aguzza
carezzata da una nuvola tonda
così petrolio e neve e aria 
fecero a un tratto 
uno sguardo sul mondo.

D'improvviso, salendo, 
-salendo più in alto-
una finestra
tra la pioggia e i piedi
e in mezzo nulla
-nessun vivente, albero, tramite o volto- 
solo pietre e scarpe 
e cime aguzze 
a assorbire il dono 
così materiale del cielo

E l'impermeabile finestra 
sospesa a mezz'aria
coi suoi quattro bordi 
-pece o pace o madre-
tra un mondo e l'altro
a cullare l'occhio
a restringere il campo
-vertiginoso, troppo grande-
del viaggiatore stanco
dal troppo guardare

Così sotto la finestra, 
sta una panchina:
riposa, viaggiatore,
a testa in giù 
dopo tanta salita,
i piedi alla finestra
gli occhi alla terra scura, 
riposa e non guardare,
il tuo occhio è una finestra
e tu ora la chiudi,
pece o pace o una palpebra
mentre si scioglie un ghiaccio
echeggia un'eco
rotola un sasso
e la finestra non è già più la stessa.

Si alza il viaggiatore
con un fotogramma 
tra testa e cuore.
Inforca anima e piccone:
per affacciarci
alla pensilina del mondo,
pece o pace o vita,
siamo fatti appena.



                (manca la foto)