venerdì 8 aprile 2016

Quantomeno uno scrivano

Io credo a ciascun uomo
sia riservato un poeta
o quantomeno un piccolo scrivano
seduto tutto impettito
a una scrivania troppo alta
con una penna piuma e un candelabro.
Che si metta a scrivere
nelle sere buie e gelate
stretto in una lunga vestaglia 
che guardi la luna
in mezzo ai rami d'un albero stecchito
la penna tra le labbra
l'animo sfiatato di nostalgia
che scomodi le stelle persino
pur di parlare 
-magari con un verso un po' rozzo
una rima baciata
una spina, una rosa, un luogo
molto comune, inflazionato-
dell'uomo che gli fu
in un tempo molto lontano
assegnato
che una volta sola vide
e altre mille ricreò
su quella sua carta stropicciata.

Io scommetto che ciascun uomo
ha da qualche parte un poeta
forse una creatura silvana
con babbucce verdastre
e cappelli appuntiti
che riunisce le civette e le lucciole
nelle notti d'estate
con qualche formula magica
o con un ipnotico schiocco delle dita
per mandare parole e fruscii
onomatopee ed echi
sotto gli usci serrati
del suo uomo addormentato.

Deve avere ciascuno un poeta
che appallottola il foglio
ebbro di cancellature
in un angolo di strada
sotto un muro imbrattato 
insieme al suo costume da elfo
alla luna e al candelabro
e a qualche dozzina di stelle.
Che poi se ne va
con la sua faccia comune
un po' spazientita
quasi non sapesse nulla
del terrore del bosco
quando non c'era traccia di versi
sbriciolati a terra
per ritrovare la strada di casa
tra le fitte frasche
i lupi e le donnole
e lo inseguivano i mostri orrendi
della lontananza
quando ancora non è divenuta parola.

Poi me ne vado
con la mia faccia comune
un po' assonnata
tu mi dici che ho delle strane scarpe
appuntite e verdognole
e mi scosti dai capelli
con una mezza carezza
un ramo d'abete.
Ci vuol molta memoria
-vorrei dirti-
per tornare dalla poesia
al mondo dei vivi.
Invece inciampo
in un fiore-amore
e -come sempre quando torno-
taccio.

Così da quel tacere
da quell'appallottolare furtivo
da quel portare indizi
sempre troppo evasivi
capita agli uomini
di scomparire 
credendo di aver vissuto
senza mai avere
 il proprio poeta.



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