sabato 30 aprile 2016

Fai tutta un'allegria d'inconsapevole vendemmia

Ormai anche le malinconie
ingiallendo
volgono all'autunno.
Si arrotolano in fogli
e foglie
rassegnandosi ai piccoli rituali
del tempo
alle notti più lunghe
ai giorni più brevi
alla tosse del cielo 
indugiando forse troppo
su qualche ramo
che molto amarono
-ma senza troppa tenacia
pronte a lasciarsi andare.

E poi volgono al muschio
e ai licheni
si disfano in un'umidità 
di piogge
diventano altro
levigano la faccia delle pietre
oppure evaporano
verso volte assolate e fredde
chiare o forse sbiadite
come gli occhi dell'asino vecchio 
per la prima volta libero
dai pesi
per sempre gravato
dalle fruste.

Così malinconia e amore
s'assomigliano talvolta
son la ruga d'un cielo canuto
che non si fa più orizzonte
ma baco vuoto e fradicio
che cade e tace
pareidolia di nuvola
volto incastonato tra gli ulivi
per un bagliore geometrico
d'evaporazioni mattutine.

E pure in questo dolore
pigro persino per soffrire,
tutto in faccia all'imbrunire,
tu arrivi -a volte-
e le malinconie le pesti forte
senza troppo pensarci
quasi fossero graspi d'uva
molto bruna.
Fai tutta un'allegria
d'inconsapevole vendemmia
e io -subito ubriaca- 
ti seguo tra le vigne
a perdifiato
tu coi tuoi piedi impastati d'autunno
che mai si chiude del tutto in inverno
io con le mie parole spremute
a dirti che avevo in serbo
ancora qualche acino 
chiuso e scuro 
di annoiata felicità
ma non lo sapevo.

                             E.Schiele

martedì 12 aprile 2016

Considerazioni algebriche

Anche quando sto con te
sempre sto con il ricordo di te.

Si muovono le labbra del ricordo di te
alle tue sincronizzate
ma con altre parole mi parlano
alle tue di ora sovrapponendosi
fanno un turbinio bruno
un discorso ombra 
che io sola sento.

E ancora allungo le braccia
quando ti abbraccio
oltre la tua circonferenza
ad avvolgere tutto il ricordo di te
che con altre braccia 
-passate, innocenti-
dietro di te si affanna
e molto mi duole 
questo abbraccio doppio
questo mio amare quell'altro
sempre un po' più di te
questo mio spiare
appoggiata alla tua spalla
quel tuo viso di ieri
che ugualmente mi sorride
ma con un altro sorriso
una strada silente, abbandonata
su cui io sola cammino.

E pure adesso che così ti scrivo
sono in bilico le mie parole:
da una parte a te si dirigono
-sicure, indulgenti, 
dimentiche di ciò che è stato
pronte a te come rimani adesso
nudo di quel ricordo
come un animale della sua vecchia pelle-
dall'altra retrocedono
tutte aggrappate al ricordo di te
nella sua attesa impaziente
che sempre cesella il corpo
del mio desiderio
e molto mi rammarico che a lui,
e non a te,
siano andate le poesie mie più belle.

E mi scopro così incapace
di tollerarti tanto imperfetto
mentre quel fantasma mi seduce
ostentando un calice più rosso
dietro ai nostri così scoloriti,
mi offre il bacio più sanguigno
l'attenzione più pronta
il tempo più dilatato
il sentimento più devoto.

Ma a te soltanto
e non a lui
so scrivere per il meno
per l'assenza
per il fondo del bicchiere
per la crepa nel cammino
per l'amore che non provo
e la vita che non vivo.
A te soltanto
so dire che non sono
infine e con certezza
colei che ama.

Meno per meno:
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venerdì 8 aprile 2016

Quantomeno uno scrivano

Io credo a ciascun uomo
sia riservato un poeta
o quantomeno un piccolo scrivano
seduto tutto impettito
a una scrivania troppo alta
con una penna piuma e un candelabro.
Che si metta a scrivere
nelle sere buie e gelate
stretto in una lunga vestaglia 
che guardi la luna
in mezzo ai rami d'un albero stecchito
la penna tra le labbra
l'animo sfiatato di nostalgia
che scomodi le stelle persino
pur di parlare 
-magari con un verso un po' rozzo
una rima baciata
una spina, una rosa, un luogo
molto comune, inflazionato-
dell'uomo che gli fu
in un tempo molto lontano
assegnato
che una volta sola vide
e altre mille ricreò
su quella sua carta stropicciata.

Io scommetto che ciascun uomo
ha da qualche parte un poeta
forse una creatura silvana
con babbucce verdastre
e cappelli appuntiti
che riunisce le civette e le lucciole
nelle notti d'estate
con qualche formula magica
o con un ipnotico schiocco delle dita
per mandare parole e fruscii
onomatopee ed echi
sotto gli usci serrati
del suo uomo addormentato.

Deve avere ciascuno un poeta
che appallottola il foglio
ebbro di cancellature
in un angolo di strada
sotto un muro imbrattato 
insieme al suo costume da elfo
alla luna e al candelabro
e a qualche dozzina di stelle.
Che poi se ne va
con la sua faccia comune
un po' spazientita
quasi non sapesse nulla
del terrore del bosco
quando non c'era traccia di versi
sbriciolati a terra
per ritrovare la strada di casa
tra le fitte frasche
i lupi e le donnole
e lo inseguivano i mostri orrendi
della lontananza
quando ancora non è divenuta parola.

Poi me ne vado
con la mia faccia comune
un po' assonnata
tu mi dici che ho delle strane scarpe
appuntite e verdognole
e mi scosti dai capelli
con una mezza carezza
un ramo d'abete.
Ci vuol molta memoria
-vorrei dirti-
per tornare dalla poesia
al mondo dei vivi.
Invece inciampo
in un fiore-amore
e -come sempre quando torno-
taccio.

Così da quel tacere
da quell'appallottolare furtivo
da quel portare indizi
sempre troppo evasivi
capita agli uomini
di scomparire 
credendo di aver vissuto
senza mai avere
 il proprio poeta.