ingiallendo
volgono all'autunno.
Si arrotolano in fogli
e foglie
rassegnandosi ai piccoli rituali
del tempo
alle notti più lunghe
ai giorni più brevi
alla tosse del cielo
indugiando forse troppo
su qualche ramo
che molto amarono
-ma senza troppa tenacia
pronte a lasciarsi andare.
E poi volgono al muschio
e ai licheni
si disfano in un'umidità
di piogge
diventano altro
levigano la faccia delle pietre
oppure evaporano
verso volte assolate e fredde
chiare o forse sbiadite
come gli occhi dell'asino vecchio
per la prima volta libero
dai pesi
per sempre gravato
dalle fruste.
Così malinconia e amore
s'assomigliano talvolta
son la ruga d'un cielo canuto
che non si fa più orizzonte
ma baco vuoto e fradicio
che cade e tace
pareidolia di nuvola
volto incastonato tra gli ulivi
per un bagliore geometrico
d'evaporazioni mattutine.
E pure in questo dolore
pigro persino per soffrire,
tutto in faccia all'imbrunire,
tu arrivi -a volte-
e le malinconie le pesti forte
senza troppo pensarci
quasi fossero graspi d'uva
molto bruna.
Fai tutta un'allegria
d'inconsapevole vendemmia
e io -subito ubriaca-
ti seguo tra le vigne
a perdifiato
tu coi tuoi piedi impastati d'autunno
che mai si chiude del tutto in inverno
io con le mie parole spremute
a dirti che avevo in serbo
ancora qualche acino
chiuso e scuro
di annoiata felicità
ma non lo sapevo.