venerdì 6 novembre 2015

Presagi

Dicon le stelle 
da un cartomante 
con la lunga barba
interpellate
che oggi anche non ti vedrò.
Son d'accordo con gli oroscopi nostrani
i cinesi addirittura
e lo gridano a tutto cielo
da lontano richiamando
stormi neri d'uccellacci
additati con orrore
da diciassette ornitomanti
come macabro presagio.

Rientro allora imbacuccata
nell'inverno del mio corpo 
tossicchiando ghiaccio e neve
e altre freddezze amene 
contro gli alberi stecchiti.
E, in casa giunta, 
riapro un po' affannata
armadi e ripostigli
a lungo sprangati
da tenaci chiavistelli
e segrete casseforti
nel muro sprofondate.
Han mille braccia d'ombra
e ammiccanti dicono,
tutte cigolanti:
"Vieni! Metti! Conserva!",
assetate di poter qualcosa custodire.

Ubbidiente mi tolgo allora gli occhi
a uno a uno 
con cura li ripongo nel primo cassetto
falsamente promettendo tempi migliori
e non rifiuto il consiglio concitato
del cubetto di naftalina alla lavanda:
"Rimbocca loro le palpebre,
che poi, rimessi in sede,
shoccati dalla luce,
non abbiano
paura a rivedere!".

La bocca la conservo
schiusa appena, spolverata, lucidata
in un panno d'ovatta immacolata.
A lei ho destinato
un antico portagioie
e -che vuoi farci- la sento 
di tanto in tanto straparlare
dal fondo dell'armadio:
con voce metallica
fastidiosa
di te mi chiede senza sosta
e io rispondo tutta muta:
"Che vuoi che ti dica?
Non mi vedi? 
Son rimasta senza bocca!"

Il naso sta bene nel portamatite
divide così le penne dai pastelli
col suo setto impertinente
e ogni tanto lo trovo tutto teso
ad annusare se a mezz'aria 
giungesse per caso
il profumo del tuo dopobarba.

I capelli! 
I capelli a lungo li ho acconciati
che coprissero sul muro quella crepa
che guasta la bella simmetria dei libri antichi
ma giorno dopo giorno
pendon giù un po' appassiti.
L'ho visti!
S'allargano le ciocche di nascosto
alla distanza precisa tra il pollice e il tuo indice: 
non dimenticano l'impronta 
lasciata un dì dalle tue dita
e anarchici si accalcano alle mensole
come spettatori imbizzarriti.

Ci vogliono tre giri
in senso antiorario
per staccarmi poi tutta la testa
e lasciar che sul lampadario 
si accenda e spenga
di te ricordando 
come un vecchio diario.

È compiuta infine l'ardua impresa
di custodire in luogo sicuro
l'ultima delle mie facce.
Con ciò che resta esco di casa
mi rifornisco di giornali 
dalla folta rubrica d'astri 
e di telescopi 
da ogni finestra al cielo puntati.
Senza testa poi 
guardo le stelle e i neri stormi
giro una sfera
leggo le nuvole
conto i gechi e i quadrifogli.
Non c'è fretta
-dico allora al cielo spento-
posso aspettare:
tutto è in casa
-ben incartato-
a riposare.


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