la nostra forma le sedie
quando saremo andati.
Che gesto -immobili-
sceglieranno di conservare
per presentarlo a un distratto
viaggiatore del futuro
o a una fumosa discarica
di oggetti abbandonati.
Se qualcuno ci includerà
nell'inventario
del nostro appartamento
in vendita
e se ciò -quel pezzo di vita già vissuta
sprofondata nel velluto strappato
della sedia- alzerà o abbasserà
il valore dell'immobile.
C'è chi preferisce una vita
nuova di zecca
e contesterà che la nostra presenza
-seppure discreta-
gli sbiadisce il suo primo
sprofondarsi in poltrona
dopo una giornata di lavoro
o che un lascito di attesa
lo rende inquieto
di non veder a sua volta tornare.
Ancora, contesterà che strane presenze
oscillano avvinte alle imposte
come panni di bucato mai asciutti
o che la tavola è gravata del peso
di bouquet di fiori ormai sfioriti.
E chiederà uno sconto
per i nostri piedi scalzi che
-ne è sicuro-
di notte gli fanno più di uno sgambetto
o per quel gesto ancestrale di uncinetto
che ricama nell'aria a mezzanotte
vicino al camino spento.
Urlerà al povero agente immobiliare
-stanne certo-
che a nulla è valso coprire le nicchie
con grandi schermi LCD
e che non questi erano i patti.
Che deve svanire tutto il passato
e i muri essere immacolati
e invece guarda come persistono
sotto mani e mani di bianco
le nostre ditate al cioccolato.
Come sventolano nella sagoma
del vecchio armadio
i nostri vestiti
"ché mia figlia persino
dopo averli uditi
pretende d'indossare i tempi passati
e abbiamo dovuto portarla
dagli psichiatri
che le rimettessero addosso
il 2100".
Oh no, non così vorrei che indossassero
le nostre forme le sedie
quando saremo andati
ma che sotto la stoffa
affiorassero appena
per dire con voce lieve
con tempi chiari
con bonario perdono:
"Ora ciò che è stato è stato"
e lì rimanessero
strecciati i vimini
sfoderati i cuscini
come volti raggrinziti
s'un terrazzo a vista
da nessuno visitato.