martedì 29 settembre 2015

S'un terrazzo a vista, da nessuno visitato

Non so come indosseranno
la nostra forma le sedie
quando saremo andati.
Che gesto -immobili-
sceglieranno di conservare
per presentarlo a un distratto
viaggiatore del futuro
o a una fumosa discarica 
di oggetti abbandonati.
Se qualcuno ci includerà 
nell'inventario
del nostro appartamento 
in vendita
e se ciò -quel pezzo di vita già vissuta
sprofondata nel velluto strappato
della sedia- alzerà o abbasserà 
il valore dell'immobile.
C'è chi preferisce una vita
nuova di zecca
e contesterà che la nostra presenza
-seppure discreta-
gli sbiadisce il suo primo 
sprofondarsi in poltrona 
dopo una giornata di lavoro
o che un lascito di attesa
lo rende inquieto
di non veder a sua volta tornare.
Ancora, contesterà che strane presenze 
oscillano avvinte alle imposte
come panni di bucato mai asciutti 
o che la tavola è gravata del peso
di bouquet di fiori ormai sfioriti.
E chiederà uno sconto
per i nostri piedi scalzi che
-ne è sicuro-
di notte gli fanno più di uno sgambetto
o per quel gesto ancestrale di uncinetto
che ricama nell'aria a mezzanotte
vicino al camino spento.
Urlerà al povero agente immobiliare
-stanne certo- 
che a nulla è valso coprire le nicchie
con grandi schermi LCD
e che non questi erano i patti.
Che deve svanire tutto il passato
e i muri essere immacolati 
e invece guarda come persistono
sotto mani e mani di bianco 
le nostre ditate al cioccolato.
Come sventolano nella sagoma
del vecchio armadio
i nostri vestiti
"ché mia figlia persino 
dopo averli uditi
pretende d'indossare i tempi passati
e abbiamo dovuto portarla
dagli psichiatri 
che le rimettessero addosso
il 2100".
Oh no, non così vorrei che indossassero 
le nostre forme le sedie
quando saremo andati
ma che sotto la stoffa
affiorassero appena
per dire con voce lieve
con tempi chiari
con bonario perdono:
"Ora ciò che è stato è stato"
e lì rimanessero
strecciati i vimini 
sfoderati i cuscini
come volti raggrinziti
s'un terrazzo a vista
da nessuno visitato.


venerdì 11 settembre 2015

C'è una durezza, in fondo, nelle parole

C'è una durezza
in fondo
nelle parole.
Sarà forse la conformazione
delle lettere
il loro spirito geometrico
di triangoli linee e cerchi perfetti.
O il fatto che
di contrario a tutte le cose,
una volta nate,
mai sfioriscano.

C'è una durezza
in fondo
nella poesia
che una volta schiusa
non sa rovinare
in polvere e resti 
non conosce sconfitta
ti dice di case abbandonate
e mai le abbandona
così tenace sconfigge
con scricchiolii eterni
la perdita.

Le manca quella bellezza
dei vinti
così mai viene consolata.

E vorrei allora scrivere
con segni più morbidi
con giunchi e spezie.

Fossero i versi
steli già soffiati
Non già gli amori eterni
ma carezze di addio
E le labbra un po' sfiatate
screpolate le mani
abbandonate le case
gonfi i fantasmi
ubriachi e vermigli
davanti a un focolare
E incerti i luoghi
senza francobolli
i nomi rimpiazzati 
da iniziali puntate
e che ogni cosa scolorisse
nell'altra
come in un dolce delirio
prima della morte.

Ma c'è questa durezza 
nelle parole
che resta sul foglio

Questa durezza
che anche oggi dice
che non ti posso amare.