giovedì 20 agosto 2015

È conservata, da qualche parte, una parola

È conservata, da qualche parte, una parola.

Tutto cadrà: questo calendario sghembo, questo tramonto liquefatto, questa tazzina sbeccata. 
Cadrà anche questo addio, lo risucchierà il mondo con tutti i suoi strati, fino al centro della terra. Lo risucchierà un addio più rovente, tanto che allora -ma ci pensi?- mi sembrerà un ridicolo addio.
Cadranno le carte bianche e quelle scritte.
Con un rumore appena tagliente fenderanno l'aria all'unisono e, senza gravità, s'alzeranno e s'abbasseranno e così mimeranno una gran quiete di colombe, come fluttuanti in un vello nero e avvolgente.
E afferreranno i rami -caduti- nei becchi, in segno di cosmica pace.
Mentre passeranno a destra e manca tutte le cose cadute: tetti, comignoli, fumi e maestrali.
E occhi e orecchie, aperti gli uni, tese le altre, a vedere e sentire quella rocambolesca caduta di cose mai davvero esistite -sembrerà allora impossibile che un tempo sia esistito un ordine di strade e semafori, di orologi e appuntamenti, di cielo e terra. 
Oh, cadranno, cadranno gli ombrelli e la pioggia in senso opposto, ma ci pensi, che grandi contenitori di pioggia diverranno quelli che dovevano respingerla!
E i fili del telefono, tutti intrecciati, a formare girovaghe costellazioni di comunicazioni interrotte: voci alla rinfusa, parole cinesi ne abbracceranno altre finlandesi e alfabeti mai visti tutti in simultaneo dialogo e che gran trambusto di pianti e risate e voci vecchie e giovani - prova a pensarci! 
Il tuo "no" magari andrà a finire a chi dava per scontato un "sì", oppure un "ho buttato la pasta" sarà la risposta a un "è finita" e molte altre incomprensioni si accumuleranno senza sosta: "Viva!" in risposta a "è morto!" e alcuni baci circoleranno per quei fili dispersi, per poi incollarsi a voci tremebonde e ubriache, che tutto si aspettavano, rannicchiate in un angolo putrido, tranne che di ricevere un bacio.
Tutto sarà confuso e disperso, vedi, e così non molto bisogna preoccuparsi di questo svanire d'estate, giacché converseranno piacevolmente foglie secche e nuovi arbusti, nevi e solleoni, tutti in marcia costante sui liquami della terra. 

Ma è conservata, da qualche parte, una parola.

Forse dentro una lampada di Aladino o in una roccia stregata.
O forse dentro un sentimento marginale, che mai potresti acciuffare, in questa impressionante caduta, neanche con una rete da pesca. 
Dentro una paura, che cade nera sul vello nero della Terra -distinguila, se riesci.
Ma cade, cade - o forse sale, sale -, di nascosto, ben riposta e custodita, frastornata, un po' contratta.
Sicura di non essere intaccata da questo viavai di gente e macchine, di cose e nomi.

Serve adesso che tutto manca: sedie e tavoli, posate e piatti, strade e tram, libri e lettori.
Ora che le mani si danno la mano senza più essere attaccate ad alcun braccio, così che non si sa chi dà la mano a chi e quali mani, controvoglia, lascia.
Che ticchettano luci senza più le loro ombre e -che guaio - è una luce buia quella che non lascia una via di fuga. E le ombre tutte insieme -che idea malsana!- a danzare una danza rovinosa, estenuante, non vista.

Serve adesso che, in tutta questa confusione, non riesco a riassemblarti: risucchiato nell'addio, la mia mano a mille miglia che segna nel vuoto i tuoi lineamenti, la memoria corporea così staccata da quella della testa, e qualche segno cadente di te che mi passa per sbaglio accanto: un sopracciglio, una rabbia vaga che s'inchina ai suoi persecutori, una serratura, una penna, quattro o cinque segreti arrotolati come sigarette, la tua solitudine come un cono d'aria a toglierti altra aria, un bicchiere di paure ancestrali, cinque gocce d'incertezza, un errore di ortografia, una dozzina di risposte mancate, un centinaio di dimenticanze come stelle cadenti, due teorie banali sull'amore e una struggente, un pizzico di superficialità, una strenna di speranza, nove giri d'incanto, un triangolo -pungente- di disillusione, una tonnellata di pigrizia, quattro Avemaria e sette peccati capitali, ventun grammi di anima -però ventun grammi sparsi un po' qui e un po' là, un po' sui posacenere celesti, un po' starnutiti come pollini, un po' dimenticati nelle sale d'attesa della Buona Educazione-, fiotti e fiotti di ingordigia, nove litri di inconcludenza, cinque etti di egoismo, dodici di vanità, sale, pepe e mezzo cucchiaino di zucchero, uh! ecco che passa: tutto il mio inutile amore per te in caduta libera!, e poi...

E poi è conservata, da qualche parte, intatta, una parola, da usare ora all'occorrenza, mentre tutto cade, mentre non si può fermare, una sola parola che ancora, ma separatamente, ci è essenziale:
                      
                         coraggio

lunedì 10 agosto 2015

Ed ecco che è caduta

Oggi come l'anno scorso
c'è stata una specie di tempesta
e molte cose
-alla rinfusa-
sono volate.

Adesso alla rinfusa
anche le stelle 
dovrebbero cadere in massa,
senza però spostare vento,
cadere e basta
tracciando nel buio
una linea fluorescente
come un'anima 
che lasci un segno
nel punto in cui esce dal corpo.

Alla rinfusa molti nasi 
all'insù dovrebbero volgersi
meglio se in coppie
-dicono-
come un'Arca di Noè
votata al cielo
-quante specie d'amore esistono?
quante vanno tutelate?-

Anche oggi c'è stato un diluvio.
Così pare che a prenderci
vengano le stelle
per trarci in salvo.
E che daranno 
all'ora giusta 
indicazioni precise,
forse via sms.
Lo dicono quei telegiornali
che scivolano sugli schermi 
notizie metalliche
nel breve spazio 
lasciato dal palinsesto 
tra immaginazione e futuro,
spesso confondendoli.
Pare -dicono-
che si possa esaudire
un desiderio almeno
di riportare indietro
ciò che quella tempesta
alla rinfusa 
s'é presa.

Oggi come l'anno scorso
c'è stata una specie di tempesta
e molte cose ha confuso:
alci e alcioni
mele e mali
presenze e assenze.

In questa stagione 
vieni e vai
solcando il cielo
io mi attacco a una stella
-quella stupida stella-
e senza crederci
le chiedo
con questa poesia
molto ufficiale
-in carta bollata-
di riportarti indietro.
Alla rinfusa, s'intende.

Ma le poesie, si sa,
-come le stelle-
non servono a nulla.

(Se non a esercitare qualche invisibile forza di gravità
e a mantenere un sospiroso equilibrio
tra oggetti necessariamente distanti)