domenica 26 aprile 2015

Come tutte le altre donne, indosserò un velo




Ti aspetterò sulle bianchissime mura di Essaouira.

Non puoi sbagliare perché indosserò un velo, come tutte le altre donne.

Come tutte le altre donne, indosserò l'attesa e l'intonerò all'oceano e al colore sgualcito delle barche ormeggiate: sarà un lapislazzuli fisso e intenso in mezzo alla cornea.

Tu non dovrai far altro che camminare lungo le mura di cinta.

Sarò allora la donna col filare, sprofondata sulla sua sedia di vimini, che tesse forme variopinte, coi lenti movimenti di una mano sottile, su un pesante tessuto color ocra, profumato d'incensi. 
Ma sarò anche la donna che impasta il pane con ampi movimenti concentrici, nel retrobottega affacciato sui vicoli bianchi e azzurri e lascia scappare indenne il piccolo topo, dando un calcio alla trappola aperta.
E anche sarò la mendicante con gli occhi dipinti che dice il futuro; la vecchia che cura le ortensie sul giardino cinto di rovi; la regina dei gatti sornioni nella calle nascosta; la raffinata poetessa nascosta dietro un vetro di polvere; la sacerdotessa vestita da uomo; la sagrestana che rintocca la campana cristiana, mentre un altro stuolo di vita si volge alla Mecca, alla medesima ora. 
E la puttana, che tutta si copre con un muto verso di morte. Ma poi la sposa, che invece di sé fa mostra, camminando sulle acque con corone di bianchi fiori.
A entrambe tu fai ritorno.

Non puoi sbagliare, sarò la donna in ogni cosa: la rete del pescatore, il tepore della casa con l'uscio socchiuso, la cassetta delle lettere intarsiata di ciottoli, il suono del liuto, lo sventolare dei panni, il perturbante richiamo del mercato, il porto che scherma le onde più alte, la mano che abbraccia la testa, la familiare preghiera della tua infanzia, il ciondolo bronzeo con una foto.
Sarò le mura stesse che, come una placenta squarciata dal cielo, nutrono la città e in alto sospendono i gabbiani affamati, mentre al sole essiccano i pesci.
E poi, poi l'asino stanco e cocciuto, con le borse sui fianchi, e il gatto altero e immobile sulla cima del faro.

Ogni cosa mi sarà burqa e mantello: sembianza, mestiere, pelo di animale, credenza, vestito.
Perciò tu non mi vedrai, tu uomo, che ti ostini sul perimetro delle mura e ora fai sgocciolare le monete nell'incavo della mia veste, ora mi porgi una ciotola di cibo, dunque mi carichi di pesi, mi solchi con la tua barca, t'inginocchi sul mio altare.
Non mi vedi, non mi vedi!
Eppure, non puoi sbagliare. 

Ti aspetto sulle mura bianchissime di Essaouira.
Indosserò un mantello, come tutte le donne.
Perché tu non debba mai sapere in quante parti mi hai diviso.



venerdì 17 aprile 2015

Cuore di bruco

Ma striscio ancora un po'
prima di divenire farfalla.

Sto aggomitolata
in questo mio cuore di bruco 
affezionata a tamerici e tarassachi
alla placida lentezza 
con cui asciuga il sole 
la rugiada
al pericolo del prato
-formichieri e passi e tosaerba-
al fascino del coraggio 
-non posso fuggire, ho mille piedi-
alla parte più torta dell'albero
-la radice che apre la terra-
all'anelito del gambo alla corolla

Mi chiudo
in questo mio cuore di bruco
rimando a domani
e domani è la premessa del sonno
E bella è la sera che attende
che striscia silente che sogna 
che sussulta tra aspri limoni
-caduti- 
tra i succhi dispersi 
da frutti aperti
Bello è questo corpo 
che s'allunga e s'accorcia
eppure in segreto 
per domani cova la bellezza
di una vibratile farfalla.
Domani è il nome del mio amante
che vicino ignaro mi passa 
tra pietre fichi e gelsomini
e ancor non mi sospetta
un dì libera e variopinta.

Dormo a cielo aperto
senza baco intorno
tutta esposta
a lasciti di luna
a mostruosi venti
a cerchi d'acqua
a grandi chiome
ai volti lassù troppo alti
assenti.

Cuore di bruco io sono:
non so lasciarti
perciò ti chiamo Domani
e oggi tu mi calpesti.

Ma troppo temo che,
non riconoscendomi,
mi ameresti
quando farfalla,
di viola e giallo dipinta,
appena sfiorandoti
ti sorvolerò altera le ciglia.

Io che ti amavo 
dalla terra profonda
col mio cuore di bruco
senza chiedere ali.







venerdì 10 aprile 2015

Tu non vieni più




Vedi,
mi rimangio i miei baci
-aspri-
mi abbraccio con le mie braccia
-corte-
mi scrivo poesie
 -a dozzine, di scarsa qualità-
mi cullo insonne 
-con ninne-nanne stonate-
mi tengo la mano
-con dita screpolate-
mi porto la colazione
-non la mangio-

E poi leggo persino l'ultima
pagina del giornale 
svuoto gli altrui posacenere 
sbatto i tappeti
spolvero gli orologi del metrò
raccolgo le carte dei passanti
sbriciolo ai piccioni le molliche di pane
più volte controllo
che siano atterrati tutti gli aerei al JFK. 

Mi commuovo per i necrologi
di gente sconosciuta
visito mostre di cartacce 
sorrido agli stranieri
 -tutti-
litigo coi connazionali 
-la maggior parte-
impilo gli scontrini dei caffè
lucido le caselle bianche
delle scacchiere.

Mi perdo in periferia
pago le multe accartocciate
lavo la macchina
il collare del cane
la vecchia cloche di mia zia
un orso di peluche
colleziono francobolli
scrivo lettere di protesta
alle multinazionali delle patatine fritte
m'iscrivo a corsi di aramaico
e danze nipponiche
frequento gruppi politici
di estrema destra e estrema sinistra 
accetto i volantini
dei Testimoni di Geova
partecipo a cacce al tesoro
e a raduni enogastronomici.


E poi... Ah, poi stiro i calzini
numero i libri della biblioteca
imparo a memoria 
ogni numero col suo titolo
telefono ai centralinisti 
dei sondaggi sulle lavatrici
adotto trichechi a distanza.

E telefono dalle cabine in disuso
così, solo per fare il numero.

Tutte queste cose faccio
in ordine sparso
e magari anche altre
-comprare mazze da hockey
ginocchiere da pattinaggio 
begonie finte
e frutti tropicali geneticamente modificati-
ma ancora non è sera:
                 tu non vieni più.