lunedì 8 dicembre 2014

Lunerîe

L'attimo prima.

Ti vedo così, sembri un soldato al fronte, corazzato. O, forse, un dio bendato che si è perso.

Fluttui in un’oscurità densa, con quella luna inquietante, tutta piena, bordi bianchi e interno nero, che ti sta appena dietro, come una cornice.

E’ così buio che non pare tu abbia i piedi appoggiati su una qualche superficie.

Tu contro la luna, un orizzonte troppo acerbo per chiedere mare, monti, colline, palazzi. 

Forse è il primo orizzonte, una scenografia di teatro, tutta nera, un luogo stilizzato, con te che ci cammini sopra, una riga bianca un po' luminescente, le labbra aperte che succhiano i lasciti di luce della luna, forse un neonato alla prima poppata.

O forse un uomo che prega una donna, l'ultima donna rimasta mentre il mondo muore.

Fatto sta che ci sei tu, bianco sul fondo scuro, e la luna, piena, tonda, stranamente vicina, col suo contorno ugualmente bianco sul fondo scuro.

È l'attimo prima.


Io sono nell'attimo dopo, una sola sequenza di tempo più in là - e ti guardo.

La Luna si è impercettibilmente spostata sulla linea del cielo, è qualche minuto più avanti verso il mattino. 

A mano a mano che cammina, forse perché si allontana, sembra un po’ meno piena.

E non saprei cosa scegliere tra la luna di prima e la luna di adesso. Stanno una accanto all’altra, sono attimi congelati - e io li guardo. 

Si è fermato tutto, coesistono questi due attimi sulla superficie del cielo.


Tra il mio mondo e il tuo, tra l'attimo prima è l'attimo dopo, non c'è che un respiro, un battito di ciglia e una membrana, trasparente e pulsante. 

Senti? 

La sfioro col palmo della mano, nel tentativo di arrivare sino a te.

Tu, che ti muovi nel riflesso lunare, sembri un ballerino con la sua circonferenza di luce tutto intorno, estendi ad una ad una le gambe, le porti verso il cielo, poi cadi in un giro veloce. Ti chiudi in posizione fetale, poi ancora ti riapri, sembri un fiore adesso, ricadi verso la terra con la tua corolla un po' sgualcita, bussi con una mano sul contorno della luna, poi scalci e trema la superficie dell'astro.

Sono convulsi i tuoi gesti, sei così solo con quella palla piena di crateri e intorno il mondo è sparito o, forse, non c'è ancora. 

Ti manca tutto, persino la parola. 

E, così, non si sa se balli perché non ti rimane che questo linguaggio ancestrale, perché sei un pazzo che dialoga con la luna o se cerchi di tirar giù da quell'altro pianeta un po' di oggetti perduti. 

Chissà, magari son finiti nei crateri; magari a rovistare con le mani, con le braccia che adesso allunghi verso quelle voragini, trovi qualcosa di te -che so-, forse un nome, un cognome, una lunga strada arrotolata come un pezzo di stoffa da stendere verso una casa, la tua casa che è una casa qualunque in un sobborgo della città che ora è perduta, e allora cerchi ancora, cambi cratere, estrai grattacieli fulgenti e grandi palazzi, alberi cittadini, siepi e rose, solletichi ancora quel ventre lunare e quello starnutisce via qualche odore: odore di pane, di caffè, di pesce; odore di urina su un muro; odore di gelsomino estivo; odore di pino invernale; odore di sangue e formalina in un ospedale.

Eppure, eppure tutte queste cose che tu estrai dalla luna finiscono qui, nell'attimo dopo, sotto la Luna che è un po' più vicino alla linea del mattino, si stendono ai miei piedi, mi solleticano le narici, le ciglia, il tatto. 

Mi attraversano gli occhi -azzurri, li vedo riflessi in uno specchio denso i miei occhi, così vuoti-, quegli oggetti passano attraverso la membrana come per osmosi, mi popolano il mondo sino a far della Luna un dettaglio tra tanti, un dettaglio dell'attimo dopo.

Non so cosa guardare adesso, se te o il mio mondo -tutto nuovo.

Folata di vento, suono di ninnoli. Primo suono di un'armonica, in lontananza.


Protesto per la tua immensa fatica non seguita da un risultato: il tuo mondo è ancora la Luna e vuoto intorno.

Fluttui, fluttui ancora, ti porti qualcosa alle labbra, potrebbe essere qualsiasi cosa ma io penso male, sento la tua solitudine: no, non farlo, non bere!

E intanto, chissà, forse è un’illusione, ma ti vedo più grande, la tua sagoma sembra quella di un prigioniero dentro la Luna.

Chissà, forse esploderà mentre tu, adesso, sembri metterne in tensione la circonferenza: spingi a più non posso. E pieghi le ginocchia e tendi più in alto le braccia e fai tremare i bordi della Luna.

Sei ebbro, ebbro di oscurità, di pienezza, di Luna. 


Questa pressione fa uscire altri dettagli dai crateri, che fluiscono subito nel mondo con la Luna dell’attimo dopo. 

Sono gli spiriti che forse avevi sognato, chissà quando, forse quando la solitudine ti ha fatto così tanta paura e la Luna, quella buona Luna che ti tiene, ha nascosto nelle sue voragini per non spaventarti troppo: mostri coi denti aguzzi, lupi e falene notturne. E ancora: streghe e folletti, animali del bosco. Scivolano su questo mondo insieme a uno strato di neve. Che freddo, che freddo fa qua.

La tua paura, adesso, è la mia paura. Il tuo freddo diventa mio, il tuo mondo immaginario è tutto steso ai miei piedi. Ma è così distante, adesso, la mia Luna. Solo un punto nel cielo.

Scopro per la prima volta di avere una voce, è un fiume al contrario che sale dallo stomaco alle labbra e dalle labbra agli occhi. Ma nessuno mi ha insegnato a trasformare i pensieri, le immagini in parole. Ecco perché adesso so solo piangere, dentro questa solitudine popolata di mostri e di neve e la Luna che scivola via verso l'attimo ancora dopo, non riesco a fermarla, a tenerla vicino.


E poi, poi piango per te, che continui a succhiare con foga quel qualche cosa di amaro.

E che usi la Luna per appenderti nel vuoto, lasciare la Luna. 

Hai trovato una fune, oscilla giù dalla Luna. No, al collo no, ti prego!

Si macchia di rosso il fondo bianco della Luna, mentre a poco a poco, con movimenti concentrici si dilata, ti fa uscire nel buio e tu la abbandoni.


Sono nell'attimo dopo.

La mia Luna si riprende, a poco a poco ma, come chi ha perso qualcosa da dentro, adesso non è che uno spicchio.

Il rosso scivola sulla membrana, diventa calore per questo mondo, mi gonfia il cuore, mi espande i polmoni.

Qualcuno taglia la fune, me la srotola dal collo. Mi mette in questo mondo.

Mi porto qualcosa alle labbra, ora so che non era una bottiglia, ma solo il mio pollice di pelle tiepida e grinzosa. Come una bottiglia, però, riempie una solitudine.

La Luna si allontana nella sua veste bianca. Mi guarda, mi sorride, dice “mamma”. 


Certo, sarà per sempre sul mio orizzonte ma, ora che son nato in questo mondo, morto nell'altro, lo so, non saremo mai più così vicini. 


È bello quando ancora non ci sei, quando il Tempo non è che una pellicola stesa ai tuoi piedi, tutti gli attimi affiancati. È bello quando ci sono due Lune, una che cova il mondo e gli nasconde i sogni del futuro nei crateri, e una che lo guarda, gli alza e abbassa le maree, gli cambia gli umori, i tempi, gli amori.

Perciò -dicono- l'uomo ambisce di ritornare sempre alla Luna.


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