lunedì 1 dicembre 2014

Ché più facilmente si dimentica ciò che bene si ricorda

E così mi verrebbe da chiederti se, per Natale, mi puoi regalare qualcosa che, domani, assomigli a un ricordo.
Che so, qualcosa di denso: una data su un calendario sgualcito, un fiore da intrecciare a un gomitolo, tre righe di un libro, sottolineate e con un'orecchia sulla pagina, un vecchio pullover di lana bucato -il tuo, ovviamente-, il negativo di una fotografia mai sviluppata sullo sfondo di un famoso monumento.

Non sia mai che un domani, quando molte cose concrete si saranno frapposte fra me e qualche cosa di te, possa io dubitare che tu -un giorno- con tracce inconsistenti, con baci e con segni analfabeti che allora, tra molti domani, non saprò più decifrare, sei passato -leggero, inconsistente, incosciente- per questa strada. 

Non sia mai che, risuggellando con la punta dei polpastrelli i tuoi segni -quei segni che paiono macchie d'inchiostro, distratte, distrattissime- non riesca più, unendole, a ricomporre i contorni del tuo viso sulla carta -quei contorni che, criptati, hai voluto lasciarmi -no, voluto no-, che -tuo malgrado- mi hai lasciato nel caos-, che hai scritto -lo capirò poi- con inchiostro simpatico.

Non sia che, quando tra strade a rapida intersezione mi investiranno note, parole, finestre, presagi, pezzi di carta, slogan pubblicitari, io non sappia ricomporre il puzzle e da note, parole, finestre, presagi, pezzi di carta, slogan pubblicitari, non trovi io il dettaglio che, con sicurezza, a te mi riporti -un riflesso dell'occhio, l'eco di una risata, l'accento di una parola- e mi rassicuri che -molti ieri fa- tu hai calpestato un po' più forte l'asfalto sotto la mia porta, come a voler - pur senza determinazione, senza certezza- lasciare lì impressa la forma delle scarpe.

Non sia che molti cieli, stagioni, mesi, anni, possano confondere quei cieli, stagioni, mesi -no, anni no- che ti hanno attraversato i vestiti mentre -per caso, per imprevisto incontro di venti che, di solito, non s'incontrano- s'impigliavano ai miei.

Che possano molti odori -ortensie, gelsomini, vischio, pane appena sfornato, latte in un pentolino, febbre in una stanza chiusa, mare ed alghe, fogli appena stampati- evaporare il tuo odore che, come lascito inatteso di un paesaggio in cartolina, per sbaglio -certo, per sbaglio- mi ha solleticato, senza fermarsi -non ti fermavi mai-, le narici.

Perciò, ti chiederei -potessi!- di lasciarmi qualcosa che, un domani, assomigli a un ricordo: netto, sicuro, invincibile, un'area del cervello, un giorno e un anno, una fotografia non sfocata con una almeno delle smorfie che fai, un ritaglio della tua stoffa, una goccia di pioggia imprigionata tra due vetri.
E non parentesi, linee astratte, numeri algebrici in valore assoluto; non luci intermittenti, gesti sepolti in una pozzanghera, suoni polifonici, mezze stagioni.

Così, chiuso in quei drastici confini delle cose che esistono, senza sempre cercarti in melodie al contrario, in libri senza un finale, nell'angolo di uno specchio venato, affacciata a finestre che guardano altre finestre, sì, così, senza doverti -continuamente- fare il ricordo, inizierei a dimenticarti.
Ché più facilmente si dimentica ciò che bene si ricorda.


6 commenti:

  1. «Queste parole siano un omaggio al ricordo, in virtù del quale, per il desiderio delle cose d'allora, ora si è parlato...» (Platone, Fedro, 250 c 7)

    Si può dimenticare qualcosa senza anche ricordarlo ("ricordando" almeno di averlo dimenticato)?
    E - viceversa - si può ricordare qualcosa senza, in qualche modo, averlo dimenticato (appunto per poterlo "ri-cor-dare", riportare-al-cuore)?

    Allora, forse, tutto ciò che possiamo e dobbiamo "ricordare" è proprio di non poter "ricordare" tutto... ovvero il ricordo sembra coincidere con quell'atto stesso di "desiderare" la piena presenza di qualcosa che non potrà mai esser fatto-presente totalmente (ricordato interamente), epperò non potrà nemmeno non essere sempre presente come desiderato, richiesto, mancante (nella vigile dimenticanza del suo dover essere cioè della sua "ideale" presenza, nonostante la sua assenza).

    Ciao, Buon Natale.
    Marco

    P.S.
    Ti avevo scritto, un po' di tempo fa, inviandoti via Google+ del materiale che pensavo potesse interessarti...

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  2. Caro Marco, ti ringrazio per essere sempre così profondamente ed empaticamente presente.
    Mi dispiace, non ho visto il tuo materiale non usando mai google+... Ora vado a controllare.
    Grazie e buon Natale anche a te,
    Alice

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. Ma il mio modello è Petrolini... prima o poi riuscirò a scriverti qualcosa di profondo come si addice ad un vero "fine dicitore", come al min. 2:56 e ss.
    https://www.youtube.com/watch?v=_SLnZq-8eyc#t=2m56s
    :-)

    Scherzi a parte, provo a riproporti il post di cui si diceva su Google+ (di cui non sono nemmeno io un appassionato né un abile utilizzatore...).

    A presto, stammi bene.
    Grazie a te.
    Marco


    P.S.
    Molto bella anche la tua ultima lirica... è proprio la unicità di ciascun ente (quindi anche di ciascuna persona), a mio modo di vedere, l'esito ultimo anche della più rigorosa e razionale speculazione metafisica della realtà.

    In poche parole, si tratta di giungere a "vedere" anzitutto la relazione universale dialettica (via negationis) di ogni cosa con ogni altra, tale per cui X non è non-X, io non sono te e tu non sei me... ed in tale vincolo, pur negativo, ci troviamo inscindibilmente legati ("tutto è in tutto", come diceva già il presocratico Anassagora).
    Ovvero, come tu scrivi:

    "questo mondo
    crepuscolo di strade
    gomitolo di similitudini
    "

    Ma - ecco il passo successivo che spesso si oblitera - ciò che io nego (= non sono) di te, e viceversa,
    è precisamente ciò che tu neghi (non sei) rispetto a me, e viceversa...
    Ll che significa, in altri termini, che nella relazione negativa si negano reciprocamente due negatività (quindi, si nega ciò che io e te negativamente "non-siamo", e non invece non ciò che io e te positivamente "siamo").
    Sicché i nostri rispettivi "essere" (ciò che entrambi positivamente "siamo", la nostra rispettiva essenza) restano sempre "intatti", "inattingibili", direi quasi sacralmente inarrivabili, "insulari"...
    Ed in questa identica UNICITA' irrelazionabile, incomparabile - la quale, si badi, non cancella la nostra reciproca diversità, bensì la fonda, la rende possibile - in tale identica unicità' io e te, così come ogni singola cosa, siamo privi di alcuna alterità, distanza, differenza.
    Siamo tutti identicamente unici ed irripetibili, restando diversi, ed in tale identica unicità con-veniamo tutti.

    1/2

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  5. E' quella che veniva detta anche "ablatio alteritatis", il venir meno - sul piano ideale, spirituale, metafisico, metempririco... - di ogni differenza, distanza, negatività e quindi di ogni opposizione.
    E' quello che, a mio avviso, dici tu stessa quando scrivi:

    nessuno - è così chiaro -
    non ti assomiglia nessuno


    Questo, secondo me, dice che tutta la realtà (e la realtà di tutto, cioè l'interezza di ogni cosa, noi compresi) è un intreccio - pur a diverso titolo - di identità e differenza, ed entrambe queste dimensioni (ripeto, pur non poste sul medesimo piano) sono inseparabili:
    "identità" che non è mai data, tangibile, afferrabile ma si intra-vede solo attraverso l'alterità, la differenza; "aterità" che non è mai totale e presuppone l'identità per essere se stessa come alterità (ché alterità assoluta sarebbe impensabile, equivarrebbe a pura nullità)
    Esse devono essere tenute presenti come inseparabili, pena perderle entrambe.

    Il che, poi, detta in una parola è semplicemente la sfuggente, incatturabile epperò chiarissima (cioè ancora: altra e non-altra) individualità (letteralmente, "non-divisibilità" tra sé e comparazione ad altro-da-sé),
    che è propria di ogni singola cosa, di questa-cosa-qui-ed-ora che sei tu, che sono io, che è qualunque cosa...

    Potremmo dirla anche così (e poi chiudiamo):
    ogni singola cosa attraversa l'intreccio universale della differenza e della relazione, ma non sosta in esso: è in tale relazione ma anche sempre oltre la relazione.

    2/2

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