martedì 18 novembre 2014

(S)trame che stanno ad aspettare

Nota: ringrazio l'amica Mimì Momò (visitate il suo blog:http://dillo-con-lanima.blogspot.it/?m=1)  per avermi invitata a giocare con lei, donandomi ogni giorno una parola per un post.
Oggi mi ha regalato "STRAME"


Strame. Di Natale. Della grotta. 
Strame, non sapevo volesse dire fieno.
Però suggeriva delle trame, messe lì ad aspettare.
Le parole son di fieno, si aprono come un cestino. Han le loro trame e l'ordito, pure.
A guardarle bene sembran mani con le palme aperte, cinque dita e cinque vocali e poi, lì nel mezzo, s'intrecciano alle consonanti, per leggerti la linea della vita.
La tua vita è bella e lunga, dicono all'unisono, la tua vita non è pure soltanto una.
In quella prossima farai diverso, stanne certo, però adesso le vocali si tendon giù così come viene, sembran quelle campanule delle viole, suonano se c'è vento, come dita sulle corde della linea di questa vita.
Le ha raccolte una donna d'altri tempi, le ha raccolte nelle pieghe del vestito, eran parole di fieno ma sembravano un dolce veleno.
Forse perché il fieno era reciso, certe volte è crudele tagliare ciò che nasce in primavera. 
Così è nato il cestino, come un ricamo vicino al vino, la casa era una soffitta vecchia, gli occhi della donna  quelli di chi aspetta e aspetta e aspetta l'è rimasta l'arte di chi intreccia.
Parole giovani e verdi orizzontali, antiche e gialle verticali, veniva bene il suo cestino, sembrava il ventre di chi aspetta un bambino. 
Ogni giorno era un po' più tondo, dentro tante storie da raccontare il mondo. 
Poi imparò a far le righe oblique, scoprendo che non solo si baciano le rime delle parole di fieno.
Possono anche litigare, qualche riga più breve e un'altra normale. 
Eran d'altronde parole di fieno, seccavano presto, affollavan soffitte, lasciavan fragranze ma la loro meta era il camino, se lo sentivano le parole di fieno, mentre alla fine l'autunno bussava, il freddo portava, le foglie staccava e per paura del ghiaccio imminente ancora le rime baciava.
E le mani intrecciavano in fretta lo strame, toglievan la "s", infittivan le trame. Il cestino era ormai un Labirinto, c'era Teseo tra covoni di fieno, parole stracciate, attese murate tra fili appassiti. Teseo che cercava il filo d'Arianna, tra fili di fieno sottili sottili, nascosto l'aveva colei che tesseva, era Penelope e non lo sapeva.
E la soffitta era una grotta, tetto di pietra, nessuna volta. 
E il comignolo una cometa e il campo arato tutta una strada verso la meta.
Lei dal vestito perdeva parole, miti ed eroi, così ingannava l'inverno che, con un anello di neve, la chiedeva in sposa tutte le sere.
Voleva il camino, l'inverno crudele, che gli sciogliesse tutte le pene.
Voleva lo strame lì dentro a bruciare, che fosse fuoco, ardesse le strade.
Ma quel cestino com'era bello, più lo guardava meno accettava, la neve ghiacciava delle dita il contorno, sarebbe bastato di ghiaccio un altro giorno e mai più avrebbe tessuto le parole sul fieno, mai più avrebbe atteso.
Ma appena in tempo portarono i buoi, l'alito caldo il freddo sciolse, dal cestino liberò gli eroi, erano alti come una mano, l'anello di neve tolsero piano.
Dalla veste calaron di fieno parole, dissero "bambino", lei sul cestino lo pose.
Ogni parola aveva inventato, ma "bambino", si accorse, per tutto quel tempo, mai lo aveva pensato.



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