domenica 8 gennaio 2012

Tra-miti





Guarda fuori dalla finestra, Manar.
Le fa da abito solo la pelle.
Si potrebbe pensare che se ne stia così, provocante nelle sue forme di giovane donna, schermata da una lastra di vetro, solo per il piacere di farsi guardare.
Ma, nel suo mondo, nessuno guarda l'altro.

La città è ai suoi piedi e ai piedi dei tetti e di tutti coloro che, come lei, lentamente muoiono dietro un vetro. Nudi, come a sottolineare la loro solitudine. Nudi, come un neonato, davanti alla vita.

Tangeri non ha una fisionomia precisa, al calar della sera. I fumi del porto, i sapori delle spezie, le urla dei mercanti sembrano contaminarsi del blu serotino e, vestiti del suo mormorio luccicante, divengono un'unica creatura che incede, al ritmo allucinato di una litania.

Allah-AkBar

La preghiera s'insinua nella visuale di Manar: è un urlo diaframmatico, stridulo, spezzato. Lo vede, non lo sente. Lo vede mentre fluisce, tra le trame oscure della Medina: è un flusso perlaceo, sospeso a mezz'aria. Cammina adeguandosi al passo di ogni essere vivente: corre insieme a un ragazzo, che fugge con un paio di scarpe rubate, ondeggia insieme alla vecchia con la brocca in testa (passa ogni sera a quest'ora), raccoglie i panni stesi che ha abbattuto il vento, trotta col mulo che scalpita, tra file di uomini vestiti di chiaro. Va, dalle mura alla spiaggia, dalla spiaggia al molo, dal molo alle Colonne d'Ercole e poi verso quei mondi “al di là” che Manar non vuole immaginare.

Allah-AkBar

Da quando il teatro Cervantes ha chiuso i battenti, non si dà pace, Manar.
Se tendi bene gli occhi (sì, hai capito bene, gli occhi, non le orecchie!), puoi vedere il rumore che fanno i calcinacci, mentre si staccano dalla sua facciata stremata.
Lei lo fa, sempre. Guarda quel rumore e subito ricorda. Ricorda l'interno del teatro: sette piani concentrici di legno scuro, affacciati sul palcoscenico. Ricorda l'odore di chiuso, il lucore dei granuli di polvere, in rapida ascesa verso l'alto, quando si apriva il sipario; ricorda il battito del suo cuore quando, seduta sulle poltrone in stoffa, vedeva entrare le maschere, una dopo l'altra: Pierrot, Messalina, il lenone, la dama, il signore, i giocatori di carte.
Le maschere fanno un rumore che non si sente, si vede.

Allah-AkBar

La terrazza, affacciata sul mare, nella serata blu di mezza estate, è solo a un isolato di distanza dal grande Teatro Cervantes.
Dalla sua finestra, Manar può vedere i due edifici in perfetta simmetria, come Zenith e Nadir.
Si dice che ogni anima del teatro sia migrata per sempre su quel terrazzo e che il suo pubblico si sia ritirato nelle mansarde e sui tetti, per poter continuare a guardare.
Su quella terrazza si sono trasferiti tutti loro: Pierrot, Messalina, il lenone, la dama, il signore, i giocatori di carte.

Allah-AkBar

Da tanto tempo non parla, Manar. Da troppo non vive.
Guarda le gote di Messalina, il suo caschetto di capelli neri, sorride indovinandone le lussurie.
Sente il fruscio che emette mentre sta controvento a prendersi la sera. Sembra richiamare dalla fissità l'occhio di Pierrot. Un movimento labile, silente, appena illuminato dal lampione rossastro che pende sulle loro teste. L'abile mossa di un regista lontano.
Le due maschere si scambiano cauti messaggi.
Non si sentono, si vedono.



-Ti sei vestito così per portarmi via, sussurra Messalina.
-Balle, tu rimani tu, io rimango io.
-Ti sei vestito così, per non esser riconosciuto.
-Mi sono vestito così per assicurarmi la parte.
-Chi vuoi che abbia bisogno di un Pierrot, al giorno d'oggi?
-Tutti vogliono credere di essere felici.
-Ci guardano tutti.
-Ci guardano sempre.
-Siamo due pesci fuor d'acqua.
-Una puttana e un pagliaccio sono sempre due pesci fuor d'acqua..
-Perché non ci mandano via?
-Per poter sparlare della puttana e del pagliaccio.
-Scommetteranno su di noi, i giocatori di carte?
-Cosa dovrebbero scommettere?
-Che mi porterai via.
-Le maschere non si evolvono, lo sai.
-Perché?
-Perché non si evolve l'umanità.
-Allah-AkBar.
-Sì, lo so, Dio è grande.
-No, mi sono dimenticata la battuta.
-Non c'è un qualche suggeritore?
-Tanto dai tetti non ci sentono.
-E quindi?
-Tu ripeti, ripeti sempre.
-Ma cosa?
-Muovi le labbra, piano. Così. Come un pesce davanti a un acquario.
-Parla più forte, non ti sento!
-Muovo-le-labbra, nient'altro.
-Ridono. Ridono i nostri spettatori!
-Ridono, sì. Ridono sempre.
-Perché?
-Perché siamo due maschere che, muovendo le labbra, permettono alle loro di fare altrettanto.
-Allah-Akbar.
-È grande Dio, lo so.

Non ride, Manar.
Manar che non sa che suono abbiano le parole. Né che esse esistano.
Ridono molti degli uomini assiepati sui tetti.
Ridono mentre Pierrot e Messalina muovono le labbra.
Il signore e la dama, invece, li guardano con biasimo.
Scuotono la testa alcuni degli uomini assiepati sui tetti.
Nella linea d'aria interposta tra loro e le maschere, scorre la vita.

Il lampione di destra si illumina sul lenone.
Con un gesto impercettibile conta i suoi soldi.

Fa paura il lenone, dice la sua maschera senza aprire la bocca, ha sempre un'aria equivoca. Le sue sigarette emanano un fumo sinistro. Lo odiano perché ha venduto Messalina. Ma odiano anche Messalina. Sono indecisi su chi odiare di più. Se Messalina fosse meno bella, meno seducente, meno truccata, farebbe certamente meno pena.
Conta i soldi, maschera, continua a contarli. Non fermarti.

Non si sdegna Manar, al contrario degli altri uomini dietro i vetri e sui tetti.
Non le piace il lenone, ma non farebbe a meno di lui, per il suo spettacolo serale.

-Non respirare, rimani altera, suggerisce Pierrot.
-Questo dramma è estremamente statico.
-Se tu potessi vedere, fuori, al di là della terrazza... ora...
-Cosa? Cosa?
-Le vie della medina si sono svuotate, Messalina.
-Si sente solo Allah-Akbar...
-La gente vive di meno, da quando hanno chiuso il Teatro.
-Dove sono?
-Sono lassù, che ci guardano dai tetti.
-Immobili?
-Anche loro, sì.
-Perché?
-Fanno ciò che facciamo noi.
-Perché non mi porti via?
-Non scontenteremo il nostro pubblico.
-Chi c'è?
-C'è lei, Manar. Le fa da abito solo la pelle. Non conosce le parole. Conosce solo le immagini. E infatti...
-Infatti cosa?
-Impugna piano il pennello. Il pennello è la sua lingua e i colori le sue corde vocali. Tende il braccio a sinistra, senza mai smettere di guardarci. Non ha bisogno di controllare la tela.
-E cosa dipinge?
-Non lo immagini?
-Dipinge noi.
-Sempre?
-Sempre.
-Perché?
-Perché dentro di noi ci sono tutte le parole e tutte le storie.
-E cosa raccontiamo?

Raccontano tra le mani di Manar.
Manar beve il cielo e i chioschi lontani. Beve il mare invisibile di sera e il vago fruscio delle colonne d'Ercole. Non ha mai sentito scrosciare le onde, ridere gli uomini, sbuffare i vaporetti sul pelo dell'acqua. Non ha mai sentito urlare Allah-Akbar sul calar della sera e non sa come una voce sciolga i muri, i frutti, i narghilè degli uomini seduti, il cammino dei muli per i vicoli in salita.
Quel mondo muto, insonorizzato, ai suoi piedi, minaccia di inghiottirla.
È strano ma, anche se i suoi circuiti uditivi mai sono entrati in funzione, Manar sa cos'è il silenzio. Ha un colore un po' più scuro delle parole. Allunga le ombre sino a renderle taglienti, come lame d'acciaio.
Ha il volto bluastro di sua madre seppellita sotto le macerie, quel giorno che il mondo è crollato tra scosse fortissime e ogni cosa, le porte, le mura, ma soprattutto il teatro, si è sgretolata, divenendo d'improvviso silenziosa. Più silenziosa.
A Manar sembrava di sapere qual era il suono del sorriso di sua madre. S'immaginava che le sue labbra appena schiuse aspirassero via tutto il male del mondo di fuori e al contempo le restituissero immagini per ogni rumore che non riusciva a sentire.
Sua madre muoveva le labbra e guidava le sue dita sulla tela. Le insegnava che a ogni suono non percepito corrispondeva un colore.
Il mondo iniziava a parlare, d'improvviso.
Quando veniva la sera, pressappoco alla medesima ora di questa sera, quando il grande gatto persiano sbadigliava sul suo cumulo di tappeti, la prendeva per mano, muoveva le labbra e le faceva disegnare Pierrot e Messalina sulla tela bianca.
Era il segno che sarebbero andate a teatro a vedere le maschere.
Manar era felice. Felice perché le maschere non hanno mai colori diversi. Parlano una lingua chiara, di poche parole, ben scandite dalle loro labbra di cera. Ma al contempo, non sono banali. Insegnano cos'è la tristezza, anche dietro un sorriso. Insegnano quante sono le sfumature di uno stesso colore. E Manar aveva imparato, tra sguardi dipinti, a sentire moltitudini di suoni, migliaia di storie.

-Non mi dirai che è una storia vera, Pierrot?
-Più vera di noi, Messalina.
-Allora è una storia molto triste.
-No, perché Dio è grande.
-E cosa ha fatto per lei?
-Le ha regalato noi, che siamo a suo modo le parole di cui si può fidare.
-Perché?
-Perché siamo Maschere. E le maschere sono come quelle parole universali, che non sono né buone né cattive. Non troppe, ma abbastanza per dipingere tutta una vita.
-Ed è per questo che lei non ride di noi?
-Già, non ride di noi.

Non ride, Manar, del suo Pierrot e della sua Messalina.
Sono manichini mascherati, una scenografia abbandonata nel tempo e nelle stagioni uguali sulla terrazza di fronte. Girati a tre quarti, si specchiano in ogni evoluzione del sole sulla linea dell'orizzonte. Le loro ombre, proiettate sulle finestre, sono i loro spettatori immaginari e gli immaginari compagni di Manar, in quella città che lei ha trasformato in teatro. Anche loro, forse, irretiti nei loro abiti e nelle loro facce di cera, s'illudono di poter continuare a far ridere e piangere una moltitudine di ombre.
Ma non ride Manar, del suo Pierrot e della sua Messalina.
Guardandoli le pare di vedere, davanti a lei, il suono che fa Allah-Akbar.
Alle sue spalle, una moltitudine di tele bluastre, moribonde nella sera e illuminate a stento da cinque lampioni giallognoli, su una parete bianca di silenzio.

(… ma prende vita la sera, sulle tele di Manar. Le sue dita disegnano nuovi scenari: Pierrot porta via Messalina. Una nave si allontana e attraversa lo Stretto di Gibilterra. Gli uomini si amano, nonostante tutto, senza alcuna parola...)




1 commento:

  1. Una favola moderna, una di quelle che son capaci di "staccarti da terra" per poi riportartici, con qualcosa di prezioso in più.
    Visto che anche tu le sai scrivere le favole? :)
    Bellissima.

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