venerdì 25 febbraio 2011

Ghost flower





È una signora bianca, tutta d'un pezzo. Parla con la sicurezza di chi, in realtà, deve nascondere un segreto.

La sua casa è una macchia bianca, tra il verde rancido delle paludi e, oltre il tetto, il cielo pare dover rimanere per sempre azzurro.
È quel tipo di donna che dà l'idea di non guardare davvero il suo interlocutore negli occhi, nonostante li tenga sgranati, azzurri e perfetti, dietro gli occhiali.

Una bella giornata!, dice.

Le chiedo se senta sola, in quella grande casa, da che è morto il marito.

Fa una smorfia di diniego e sussurra: "Ho i miei piccoli fantasmi"

Conosco i tuoi fantasmi
, vorrei dirle, ma riesco solo a rigirarmi una ciocca di capelli tra le dita, mentre osservo sul suo volto gli spettri di una giovinezza incantata dalle fughe.

Ci siamo viste solo poche volte, prima di questa, dal giorno del mio arrivo in città, abbastanza da salutarci cortesemente e abbastanza per dirle che voglio comprare la sua casa.
Ma non mi nega una tazza di tè e un po' di cortesia.

"Com'era N.?", le chiedo, senza troppi indugi.

Lei si alza, scompare dietro la tenda a fiori che divide il soggiorno dalla cucina, la sento armeggiare con qualcosa, dunque il tonfo di un oggetto caduto dall'alto.

Ritorna con un grande album fotografico, di quelli con la copertina in pelle, che alzano nubi di povere quando li si fa riemergere dal loro antro d'oblio.

Eccola, N., la bambina bionda, avvolta da un vestito in tulle. Me la presenta ora nascosta in un castello variopinto, ora coperta di coriandoli, su un lungomare d'oltremondo, ora con una smorfia capricciosa in un regno di bambole rosa.

Eccola N., la figlia legittima dell'uomo giusto, dell'uomo bianco, dell'uomo sul quale nessuno avrebbe mai potuto alzare alcun monito. L'uomo che ti ha regalato la tua vita perfetta, raccolta in un mazzo di foto, dove ognuno è sempre irrimediabilmente felice, in modo non troppo convincente.

Ho anch'io i miei album fotografici, lo sai?
Hanno le pagine bianchissime, pure ed intonse. Quando le guardi al buio, sembrano fantasmi archetipici o puro illusionismo dell'intelletto.


Lo estraggo dalla borsa, glielo porgo.
Sgrana gli occhi, non capisce.

"Non vuole vedere il resto della casa?", mi chiede.
"Vorrei che prima sfogliasse il mio album.", rispondo, incrociando appena i suoi occhi neri e vividi.

Forse non sei mai invecchiata, perché non hai vissuto tutte le epoche della tua vita.

Sfoglia le pagine fatte di assenza.
Mi specchio nel suo iride: sono una macchia caffellatte tra pareti color panna.
Cerco tra gli oggetti un segno di lui, del mio papà nero, dimenticato e affogato tra strati di vernice chiara: un antico ferro da stiro -no, una bambola giapponese -no, una palma intrecciata a forma di cappello -no, un dipinto futurista -no, una collezione di conchiglie -no, un crocefisso in legno -no.

Ti piace pregare, per credere che qualcun altro abbia avuto occhi per me.

"Tutti questi spazi bianchi: sono angoscianti."
"Ma d'altra parte mi accingo a comprare una casa che dicono popolata dai fantasmi..."
"È solo una stupida leggenda."
"Dicono che i fantasmi siano le cose dimenticate."

Silenzio.

"Perché vuole questa casa?"
"Per trovare i fantasmi."
"Cosa ha dimenticato?"
"Di dimenticare."

La macchia caffellatte, nei suoi occhi, sembra ricomporsi: forse sono un viso, ora, una pelle mulatta che le muove gli angoli della bocca, a tradire un'emozione sulla fissità del suo viso. Scruta il mio chignon di capelli neri, non perfetto e l'insieme casuale dei miei abiti, che tradisce una certa paura di farsi guardare.
Ma è troppo abituata a vedere e poi a sfocare ciò che ha appena visto.

Sono ancora un fagotto anonimo, dimenticato.

E voglio dirtelo.
Che voglio questa casa, per non doverti chiedere di raccontarmela, per non rendere artefatti i tuoi ricordi, nel tentativo maldestro di amarmi ad ogni costo, alla fine dei tuoi giorni; sarebbero troppo piccole le stanze che ti sono sembrate enormi, finora, per te e i tuoi legittimi figli.
Voglio la casa dei fantasmi, per vedere se mi posso incontrare, con qualche calcinaccio legato alla caviglia, figura spettrale di tutti i giorni in cui non sono stata o in cui sono stata niente più che una macchia di caffellatte, da nascondere tra i tuoi muri color panna, da soffocare tra lenzuola immacolate, da negare in una vita come la tua, senza viraggi cromatici, senza arcobaleno.
Voglio questa casa perché, oltre l'apparenza- nelle crepe, nei mattoni, nelle fondamenta- devo sapere se hai coltivato i tuoi fantasmi, e se da essi posso aspirare a qualche radice.


"Non sbaglia a volere una casa in Florida, signorina. Questa casetta, fantasmi o no, è un affare. Abbraccia tutta la laguna."

Osservo al di là del vetro: la palude e suoi vapori. Canne scosse dal vento, ai margini di una strada non asfaltata. Ancora più in là, dove si deprime questa terra verdognola di acquitrini e alligatori, c'è l'oceano col suo fragore. L'oceano non conosce differenze: emette sempre lo stesso boato di disperazione, quale che sia la costa che lambisce, il colore che assorbe. Dicono che, un uomo che muore va sempre in direzione dell'oceano, a ricomporre i suoi contrasti nella lungimiranza trasparente delle onde.

"E lei? Dove andrà?"
"Per i miei polmoni, molto più consigliabile l'aria di mare."

Chiude il mio album senza foto con un gesto secco, quasi stizzito. Dunque si alza, fa tintinnare le chiavi. Le consegno l'assegno -tutta la lauta somma maturata dall'assicurazione che mi è stata devoluta da un donatore "fantasma", al compimento del diciottesimo anno di età- e lei mi consegna il mazzo.

Chi l'avrebbe detto che avrei usato tutti i tuoi soldi per comprarmi la casa dalla quale mi hai esclusa? Per stare, nonostante tutto, sempre e comunque con la tua assenza?

"Questa è quella del giardino."
"Una chiave per il giardino?"
"C'è un giardino, dietro le bouganville. È cintato. Prenditene cura. Mi è costato anni di lavoro. Dicono che lì nascano i fantasmi."

La osservo mentre saluta i suoi oggetti.

"Non mi serviranno", dice, prevenendo la mia domanda.

Parlo, non parlo, parlo, non parlo?

Prima di scomparire, una lacrima fa irruzione sul suo viso.
È una donna alta, bianca, con gli occhi azzurri. Una donna d'altri tempi, tutta d'un pezzo. Proprio come N., la sua legittima figlia.
Una donna da cui non escono parole, abituata a immagazzinare i sentimenti in pile di fotografie senza vita. E, a suo modo, non deve aver trovato del tutto illogica la mia collezione fatta di niente.

No, non parlo. Se parlo, i muri sapranno. I fantasmi, addormentati da qualche parte, a sognare la loro nascita, tra strati di amnios scarlatto, si vedranno- trasparenti, sottili, alienati- allo specchio.

Avrà, non avrà capito, chi sono?


Ma lei va sempre avanti, senza indugi.

Un saluto di cortesia. Capelli che spariscono nell'arsura di un clima tropicale. Anche se è San Valentino e io sono venuta a celebrare il senso della mia nascita.

Cerco ancora, tra le scartoffie, qualche cenno di lui, qualche cenno di me: -no.

Scendo le scale della veranda della casa bianca. Strappo i petali alle margherite. Dicono che si faccia per sapere se un uomo ti ama, ma io credo che possa valere anche per una madre.

Un muro di bouganville, arancioni e viola. La porta è quasi un fantasma, un altro, tra le spine.
La apro. Questo è il giardino segreto: un tappeto di papaveri neri, quasi caffellatte, si estende all'orizzonte. Forse sono tanti quanti i miei giorni non vissuti.
Un cartello infitto nel terreno, dice: papaver hibridus - ghost flower.

Mi sdraio tra i fiori.
Nel sole, ombre chiare di papaveri neri.
Sì, mio padre doveva amare coltivare i fiori.

Piango. Respiro. Nasco. Sono.


2 commenti:

  1. C'è stile, c'è storia, c'è armonia. C'è musica!

    "Piango. Respiro. Nasco. Sono." - chiusura che da i brividi. Van Gogh diceva che alcune persona fanno arte senza accorgersene. Van Gogh parlava anche di te.

    Bellissimo Lavoro.

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  2. Amo il tuo modo di riuscire a rendere tangibile l’impalpabile. Mi riferisco alle emozioni, quelle belle come quelle dolorose, riesci a farmele toccare e vedere, come quel campo di papaveri neri che ancora mi accarezza.Devo aggiungere altro? Sì: meraviglioso!

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