sabato 18 dicembre 2010

Tu eri dentro l'albero, vivo, a scuotere il mio mondo di ceramica

















Sei qui, dentro l'albero.
Sbocci nei fiori di pesco e ti addormenti con una coperta di neve.

Sei qui, dentro il muschio che lambisce la corteccia.
Mi manchi sempre. Mi manchi ovunque.

Mi ricordo di questo albero, quando ero bambina. Mi piaceva indossare gli abiti chiari, con le balze, e le scarpe lucide. A mio modo, ero più donna allora di quanto non lo sia adesso.
Mi preparavo per l'albero. Poggiavo la schiena contro il tronco, carezzavo le foglie, raccoglievo quelle cadute, le restituivo alle radici.

Era l'albero della montagna. Mi attendeva come ad un appuntamento, ogni inverno, ogni estate. Quando lo vedevo, cercavo di mostrare sempre un cambiamento.
Lui mi guardava benevolo come un padre, carpiva i miei segreti, li chiudeva nel tronco e nel tempo, li germogliava nei fiori e nei frutti. E ad ogni morte invernale, mi permetteva di resuscitare in una nuova veste, di tingere le sue fronde di un nuovo colore.

Non era solo l'albero della montagna.
Dal suo tronco staccavo trucioli di carta. Tiravo via strati di pelle. Lo spogliavo di quelle parti di me che avevo inciso sul tronco. E con quel gesto tiravo via gli anni, ad uno ad uno, avidamente.
Mi sedevo al suo capezzale, lasciavo aderire la mia schiena alla sua, chiudevo gli occhi.

Tu eri dentro l'albero, vivo, a scuotere il mio mondo di ceramica.

Lui c'è da una vita. È fuori dall'albero.

Tu raccoglievi rugiada dalle mie condense invisibili e non le prosciugavi.

Lui è sempre stato l'Altro. Non si accorge quando piango senza lacrime.

Tu avevi più di due occhi ed erano tanti come il punteggiamento verde delle foglie sulla chioma. E pure erano neri, lucidi, meravigliosi.

Lui ha gli occhi di ogni giorno. Gli occhi della folla. Gli occhi di chi è abituato a guardare se stesso e gli altri dentro uno specchio. Un po' troppo lontano dalla sostanza.

Il tuo tronco era il tuo petto e i rami il tuo abbraccio.
Archetipico, primordiale, mi hai visto indossare i vestiti con le balze e le scarpe lucide, blu come la notte. Ti ho raccontato ogni cosa. E mi hai amata lo stesso. Con quel silenzio che parla il linguaggio del primo vento, non più di una brezza che crea un vortice tra i rami, ma non muove la superficie esterna delle cose.

Io e lui ci guardiamo e tacciamo. Parliamo il linguaggio fittizio dell'ultimo inchiostro, quello che cadendo rapprende e forma una macchia a coprire il bianco del foglio.

Quanti anni hai trascorso in questa valle, prima di me?
Racconti le storie del sempre e le arrotoli tra nodi di radici.
Ancora uno strato di pelle. Lo strappo. Sarà mio per sempre. Bianco e immacolato. Qualcosa di te.
Trascorro il primo mattino a liberare i ramoscelli più piccoli dal peso della neve.
Mi voglio illudere di fare qualcosa per te. Soffiare via il peso del tempo. Forse vorresti essere libero, come il pettirosso, come me, come lui. Libero di morire. Di disperarti per una finitezza.
A ben vedere, dunque, non dovrei liberarti della neve.

Lui ed io oggi ci sposiamo. Il nostro percorso è lungo una vita. Incedo verso l'altare, con un vestito con le balze e le scarpe lucide, blu notte.
Lo guardo negli occhi e so che non è stato il primo, né il secondo, né il terzo. Ha gli occhi di tutti. Di tutti quelli candidati a rendermi felice. Sempre i medesimi occhi, incastonati in un viso di gesso, che potrò ancora modellare, giorno dopo giorno.

Non ci si sposa quasi mai d'inverno. A meno che non si aspetti la primavera per incoronarla di un'altra rinascita. 

Tu sei nell'albero, triste e silenzioso. 
Il cielo è cupo e gioca a toccarci i capelli e le fronde. Il buio cala presto e assorbe il fumo grigio dei comignoli.
Ti amo.
Lo scrivo su un traliccio di tronco e subito stacco via il mio sentimento e lo congelo nel freddo.

Lui fa bene ogni cosa. Mi abbraccia e poggia la testa contro la mia. Mi fa assaggiare una fetta di torta ai mirtilli. Non se ne andrà mai. 
Calo su di noi la coperta e penso che ogni cosa è compiuta: la bambina ha perso il suo Albero e i suoi sogni, ma ha guadagnato la vita.

Ti guardo.
Impugno la scure.
Anche i tuoi occhi più lontani si fanno vicini mentre s'incrinano nella neve e nel ghiaccio.
Ora puoi rinascere, davvero, per me.
Ti aspetterò in primavera e avrai le sembianze che ho trasfigurato nell'albero.

Gli schiocco un bacio mentre dorme, tolgo l'anello e lo lascio sul comodino.
La bambina ha abbattuto il suo Albero e ha accettato i suoi sogni.