domenica 9 maggio 2010

"In viaggio con Genius Card"

Stati Uniti d'America.
Non sono sempre un cliché.
Si stagliano nella nostra mente, con la fissità imbarazzante di un grattacielo nero, lasciandoci l'impressione di una sfida perenne tra l'uomo e il cielo.
C'è quasi sempre un uomo con un sogno perenne, in giro per l'America.
Ma non mi sono bastati sette viaggi per chiuderla dentro di me o per placarla, la ricerca di quel clicheé.
Mi sono chiesta perché esista nel mondo un luogo a tal punto legato al simbolismo.
Ho scrutato le ragioni fissando l'allungarsi delle ombre su una strada diritta a due corsie, che fendeva un deserto bianco come la neve in un angolo sconfinato del New Mexico.
Le ho rincorse sotto un cielo ceruleo, dove i tronchi pietrificati degli alberi, stigmatizzati nella durezza dell'ametista, scandagliavano la linearità della luce.
E ancora l'ho intuite in un percorso tra rocce rosse come il fuoco, piovute giù forse per caso e foggiatesi in forma di una rotondità inattesa... tra fiumi sotterranei, scavati in quella roccia ad alimentare una foresta di cactus, rapita dal fascino dei vortici esoterici di Sedona, mi hanno parlato, d'improvviso e impudenti una lingua di sfere di cristallo che interroga la magia per sapere che strada prendere.
L'ho quasi perduta, nel caotico essere luce artificiale di Las Vegas, per poi riaverla indietro, la risposta, di fronte al nitido contrasto delle insegne spente con le prime luci dell'alba sul deserto del Nevada.
L'ho assopita tra i villaggi fantasma del Colorado, nello sguardo malizioso della centenaria custode dell'attivissimo ufficio postale di Victor, che ancora riceve, a discapito dei suoi tre abitanti, una fervida corrispondenza d'amore e s'addormenta, gli occhi appannati da un vetro di ragnatele, s'una valle scoscesa tra le Rocky Mountains.
L'ho resa selvaggia, quella risposta, tra le cime immacolate del Mount McKinley, in Alaska, il tempo scandito da canti tribali... mi è parso di ravvederla in un rito di pesca primitiva, nel fiume Kenai, che si getta a estuario in un mare fermo, sorvegliato da una desertica cittadina siberiana, muta sul suo altopiano, ornata da siepi di rose surreali quanto perfette, simmetriche, eterne.
L'ho dirottata, per allungare la meta, sulla rotta lenta dell'Alaska Marine Highway, in marcia perpetua verso Seattle, dove i torpori nordici si sciolgono e si rivitalizzano nel cantilenare del Market Place e dove ogni sguardo, in una giornata tersa, non può che portarsi all'apice di un surreale Monte Olimpo, ripida vedetta sull'oceano.
L'ho portata in macchina con me, per miglia e miglia d'oceano, chiusa tra faraglioni lunari d'Oregon e l'ho lasciata a ripetersi nell'urlo dei leoni marini, affacciati alla loro falesia eterna, in quell'antro che chiamano Point Lobos, ma che potrebbe essere in qualsiasi altrove che plasma la mente, quando progredisce verso i suoi primordi.
E persino nell'insegna provocante del fastfood, messa a svettare su un palo che si erge nell'oscurità di una highway a quattro corsie, ho visto l'ennesimo simbolo fatiscente dell'uomo che si rifiuta di morire e, come un religioso con il suo culto, consuma sulle ceneri della Route 66, incantato dai suoni del saloon, assopito nel calore paradossale di un anonimo motel, specchiato nella cromatura lucente di una Cadillac, il suo rito.
Vorrei ritornare a raccogliere questa America.
Vorrei poterla sfogliare nel mio libro, sfogliare il mio viaggio oltre la meta. Perché l'America del viaggiatore è sempre oltre la meta. L'America è sempre oltre se stessa, criptata o forse imprigionata nel suo simbolismo.
Vorrei realizzare il progetto editoriale di una guida di viaggio che non sia destinata solo a chi deve partire, ma anche e soprattutto a chi deve tornare indietro o a chi non deve partire affatto: un tragitto onirico, sospeso tra realtà e proiezioni surreali, anche un libro di geografia alternativa, se vogliamo, svincolata dalle mappe consuete... un viaggio alla rinfusa, tra alchimie ed antinomie...
Ai miei lettori prometto solo esperienze inconsuete.

IL MIO PROGETTO, DUNQUE.

L'esigenza di realizzare questo progetto editoriale nasce dunque dal connubio tra il mio amore per la scrittura e la mia attitudine all'introspezione.
Ho avuto la fortuna di viaggiare molto, sin da quando ero bambina: nel corso degli anni ho notato come la necessità di viaggiare fisicamente verso una meta sia divenuta un archetipo dell'uomo contemporaneo, che ha sostituito e forse esteriorizzato l'Odissea sempiterna del viaggio interiore.
Dunque, perché, le persone viaggiano?
Non credo la risposta sia, in modo semplicistico, identificabile con una maggior disponibilità di mezzi, dal momento che è il mercato ad adeguarsi alle aspettative inconsce dei suoi fruitori e non viceversa.
Credo, invece, che l'uomo abbia attualizzato e oggettivato la sua tendenza al viaggio, trovandosi però orfano, spesso, del suo fine: procedere oltre la meta.
Chi parte, o anche chi sogna di farlo, sa bene che la vera difficoltà del viaggio, a partire da Ulisse, sta proprio nel ritorno. Il ritorno che io intendo non è un fisico ripristino della quotidianità nelle mura domestiche, ma la potenzialità di includere il viaggio (quale esso sia) entro di sé e di renderlo parte della propria identità e del proprio tempo interiore: nel viaggio raccogliamo suggestioni dal passato, infatti, ma anche e soprattutto dal futuro: nella meta prefissata incontriamo la nostra aspettativa, il codice spesso criptato di uno scopo da realizzare.
Il turismo attuale, monopolizzato dai Tour Operator, pur avendo il merito di rendere accessibili i “luoghi comuni”, chiude la naturale tendenza del viaggio, così come della coscienza, dell'anelito al futuro, ad espandersi. Le guide turistiche, basilari nella loro utilità pratica, divengono tuttavia fredde e scheletriche quando siano identificate con la totalità dei percorsi possibili.
La storia del viaggio ancestrale ci insegna che non esistono percorsi rettilinei, strade più brevi, “point view” dove scattare la foto-cartolina di turno, quanto più imprevisti che portano fuori rotta e ci regalano luoghi, non comuni, ma forse assoluti.
Chi si è perso nel Nebraska, alle cinque di un pomeriggio di Luglio, nel marasma di una violenta bufera estiva, in una strada che sembra non far altro che procedere verso l'infinito perpetuarsi del temporale, sa di cosa parlo.
La mia guida di viaggio, pertanto, vuol essere una guida al contrario, che parte dall'immaginario interno per arrivare all'esteriorità del luogo: ci dirigiamo sempre verso una meta che abbiamo disegnato dentro di noi e gli incontri più intensi sono un dis-velamento di un nostro luogo interno, più che la materializzazione di un altrove di per sé esistente.
Per realizzare questo mio intento ho trovato tre mezzi:
1)uno studio psicologico alla ricerca degli archetipi del viaggio, in modo tale che ciascuno possa ritrovare il significato del proprio viaggiare.
2)Un percorso artistico, in cui i luoghi del viaggio sono la scenografia di un racconto o di una poesia.
3)Un percorso psicopedagogico, rivolto soprattutto ai ragazzi, teso a presentare una geografia alternativa, svincolata dalle mappe fisiche e politiche, e ricongiunta al suo impatto emotivo e immaginifico, come dal mio progetto al sito: www.universitadeibambini.com

Spero di fornire, tramite questa pagina, uno spunto del mio lavoro...
Buon viaggio!

Il link del progetto, dove è possibile votarlo e condiverlo è
http://inviaggiocongeniuscard.it/progetti/sfogliando-un-viaggio-oltre-la-meta

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