lunedì 10 maggio 2010

Las Vegas

Qui le storie non si fermano, ma ci sfiorano, con una brezza ambigua che sa di posti lontani e di cose reali.

Sono l'ideatore di un luogo surreale, dove ho raccolto gli scenari evocativi del mondo, purificandoli della loro essenza come un quadro al restauro... li ho buttati in questo Altrove, non dissimili da quelle piante tropicali che ci crescono in casa: esse sono verdi e trasudano di vapori... eppure stanno chiuse nel loro vaso e vivono senza sapere che esistono le foreste e che in quelle foreste s'adagerebbero su rigagnoli rovinosi di fango, cullando aliti animali e schermando ad essi il sole, come un tetto ombroso pregno d'umidità che ovunque dice: vita!

Quelli che vengono hanno poco da raccontare, se non una sera di follia o un amore da consumare come un cero sopra una tomba. E non hanno fretta, per quella sera, perchè questa città è nata sulle macerie del tempo e non ne ha uno suo. Hanno fretta poi di ripartire, perchè c'è un'esalazione stregata che circonda gli hotels, insieme alla tangenziale: è quella che ha reso opalescenti i miei occhi ed eretto fantasmi d'una materialità mostruosa, quasi un'orgia di sogni da buttare.

Sono un uomo arrabbiato senza cattiveria, che ha calato un sipario sulla propria esistenza e lo ha colorato con luminarie psichedeliche, lasciandosi a fianco, dietro, davanti, solo il deserto. No, non è una metafora: a fianco, dietro, davanti a me impera il deserto del Nevada e la terra sprofonda sotto il livello del mare... davvero la Valle della Morte... abbarbicata su qualche anfratto di roccia, richiama a raccolta la mia immaginazione solo Calico, la città fantasma, che s'è scritta sul petto che i suoi treni partono per la miniera, senza che nessuno li guidi, telecomandati o forse davvero guidati solo da un'essenza spettrale che non ha trovato meta.

Non ho trovato oasi; così ho creato lei e ora sussulto ancora quando la terra di questo deserto si fa rossa, il cielo scuro, l'aria tersa e l'atmosfera sferica ed espansa: quello è il momento in cui l'universo accende la mia esistenza e la fa girare, come una luce al neon che cosparga di vortici il deserto, rendendo mobile l'immobile. Quel momento, che osservo riflesso in una grande specchiera bordata d'avorio posta di fronte alla finestra, lo attendo con trepidazione, come un evento di ricongiungimento col divino.

Non so altro, infatti, di Dio e talvolta mi sfiora il pensiero che ciò che io ho creato sia un demone che vampirizza l'esistenza, impedendo se ne compiano i cicli e che la notte renda buio il cielo, che la storia cosparga i muri di crepe, che l'amore cali un velo sopra la morte... ecco perchè attendo che Dio mi dia la notte da illuminare, come un bypass preferenziale o un fusibile necessario ma non sufficiente...

Cammino sullo Strip da quando lo chiamano così. E' un passo cadenzato, il mio, barcollante, vuoto: non si vedono stelle, da lì, perchè le luci intermittenti creano un'atmosfera artificiale a pochi metri da terra, che non filtra nulla. E così le pozzanghere non hanno mai riflesso l'oscurità, ma solo punti luminosi, né ho avuto mai abbastanza ore di sole per la mia coscienza da vedere la mia ombra.

Non esiste la mia ombra. Ho raggiunto questa certezza quando ho capito che un'ombra è come uno strascico di desideri incompiuti e forse non abbastanza nitidi da essere vividi, carnei, riflettenti a loro volta: io non ho strascico, perchè esso m'ha lasciato ed è comparso attorno, a guisa di sardoniche evocazioni scavate nell'immaginazione: la mia ombra è quel Colosseo, buttato là come in un plastico, e quella Venezia, con un solo canale e senza piena, e una Sfinge che saluta l'autostrada, lanciando enigmi che son palline rosse e verdi, su un tavolo rotondo.... sì, quella è la mia ombra e il mio Sole, che la estrae dal deserto e dai bacini salati, è il buio.

La mia ombra non m'è potuta rimanere attaccata, perchè per coltivare uno strascico bisogna sposare un amore...

Sposo gli altri nelle chiesette di legno; per praticità ho messo uno sportello drive-trough. Non potrei fare il prete, ma nessuno ci fa caso.

Non è vero che qui le coppie non fanno sul serio: la maggior parte di esse è qui per raccontare a se stessa che il loro amore empirico sarà per sempre e chi conosce l'amore intuisce che sotto questo gioco macchiato di sconsacrazione c'è una profonda tragedia.

Ecco perchè la mia ombra se n'è andata in modo così perentorio: ciò che ho creduto d'amare, me lo sono preso e l'ho animato in lei...ma lei lo ha restituito senza dolore, senza fondamenta, senza disperazione. Ciò che altrove s'è sfaldato, ciò che esiste tra luoghi cachettici e ancora leva nostalgia, qui luccica.

Di notte cala un oblio dolcissimo e suadente. Avvolge come una madre prima di nascere. Prima di nascere... così io vivo: nell'essere puro delle cose perchè llei tutte le tiene in seno, ma senza emozioni, come un progetto originario che ancora non ha vissuto... ed è strano, ma davvero fluttuo in una spiritualità assoluta, tanto angelica quanto sconcia. Sono il Bene e il Male: come faccio? Qui è vietato ricordare. Ecco come. Il ricordo è impersonale, irrisorio, mitico.

Così sono io e i pochi abitanti di questa città: un gruppo di giovani magnati e un solo barbone.

E' un uomo grigio, senza barba, ma con i baffi, che ha perso tutti gli incisivi, solo loro... indossa una giacca di lino blu anche d'inverno e beve più vodka d'un russo. Ha una moralità ligia e persecutoria: con il volto rubicondo lancia ingiurie ai passanti e getta le monete delle slot-machines dentro le pozzanghere. E' una sorta di voce della coscienza collettiva e infatti nessuno vi presta attenzione. Credo che grazie alle slot-machines conduca una vita decorosa e che ciò lo debba alla moltiplicazione prodigiosa dell'unico dollaro d'elemosina che abbia ricevuto, il mio. Mi ossequia e mi rispetta:

“Fare da barbone a casa sua”, mi ha detto una volta, “è come fare il gladiatore al Colosseo senza i leoni.”

Gli ho chiesto perchè butti le monete nelle pozzanghere. M'ha detto che se la luce le incontra si dovrebbe creare un raggio incidente in grado di tornare indietro.

“Dovremo pure restituire qualcosa al cielo!”, ha aggiunto.

Io annaspo. E ancora sono il Bene e sono il Male e in quest'antinomia mi prosciugo. Eppure l'amo e le resto fedele, ma senza nessuna specificità, perchè io non ricordo neppure lei.

Lei è come una tenebra che mi chiude gli occhi o un filare di alberi identici che circondino una distesa inerte. Non ci possiamo dare niente, se non un reciproco sguardo a picco sul nulla. E ciascuno di noi vede l'altro come un riflesso.

E forse la beatitudine che mi viene da lei è davvero il terrore. Non c'è spazio vuoto eppure tutto è pieno di vuoto.

Sono pieno di paura, ma essa non ha oggetto.

Non sogno mai: i miei sogni zampillano tra gli spruzzi della fontana di Bellagio.


Mattino

Talora il mattino è più scuro della notte... il primo mattino, albeggiante, sul deserto... solo allora le rocce allungano qualche ombra e i crocicchi della città si tingono d'antracite.

Un corteo di uomini neri, del tutto simili a me, esce dai casini.

Passano di filato agli hotel e alle chiese intonacate e al finto legno, nei vicoli che sanno di quiete e biancheria opaca che ritireranno i camion amaranto.

Io li seguo in silenzio.

Nessuno deve sapere.

Ora che tu dormi, mia ombra, loro piantano i ricordi di se stessi, per il futuro, come fiori in un giardino. O forse non sanno di non essere ancora morti.

Il campo santo brulica di lapidi vuote.

Li ricorderai, Las Vegas?

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