martedì 18 maggio 2010

Amo lei perché amo te.


Cammino dietro di te.
Talvolta capita che ci salutiamo, di sfuggita. Vedo che non ci fai caso.
Conosco i tuoi luoghi più prosastici, così come i tuoi apici.
So che scarpe indossi al mattino, conosco il tuo volto struccato e quello che vesti per incontrare lui.
So che raramente ti ricordi l'ombrello quando piove e che più spesso te ne ricordi quando il cielo è solo grigio e nulla, ma proprio nulla lascia presagire che pioverà. Che ti piacciono i mandarini senza semi, i pesci non surgelati, le barrette ipocaloriche al cioccolato.
E che correggi i compiti di italiano dei tuoi allievi su una panchina di un parco abbarbicato sulle alture, che nessuno, credo, a parte tu ed io conosciamo in questa città... capisco che lo scegli perché tutto vorresti, tranne che correggere i compiti di italiano e fare l'insegnante. Non si sceglie un parco così, squallido, acquitrinoso di foglie che nessuno passa mai a raccogliere, fangoso di neve che, posandosi, si scioglie, circondato da palazzi grigi di fuliggine, su questo monte che hanno bruciato gli incendi; non si sceglie se non per chiuderci una malinconia che non vuoi confessare.
Ti ravvii i capelli con la penna blu, quella che non usi mai. Non ritieni che possa esistere errore così grave. Non ritieni di essere la persona più idonea a mutare le parole in numeri, ogni parola è già una negazione del numero, della certezza... ogni parola, a suo modo, è esattamente l'opposto di ciò che vorrebbe essere: è silenzio, un insolente provocatorio silenzio.
Insegni a usare la parola, ma dentro di te sai che la parola è un modo per stare da soli, per riempire i vuoti di fronte a cui inorridiremmo... sai che la parola, che tutti ricercano febbrilmente, è il luogo primordiale della paura, della lontananza... la parola, e il suo abisso semantico, un regno così ambiguo, così confuso, così incerto.
A te non piace parlare e di parole ne usi pochissime.
In questo ti rendi così perfetta, sui picchi e negli abissi. Ho capito che questo è il fulcro della tua bellezza.
So che non cerchi la felicità fuori da te stessa, che non alzi mai gli occhi verso il cielo e che non ti ricordi dei sogni che t'incontrano di notte.
Lo so perché non ascolti la musica e acceleri sempre con un tempismo perfetto ad ogni verde di semaforo.
Lo so perché so che lui ti ama.
Non so niente di lui, niente di così profondo che non possa vedere attraverso di te.
So che ti ama per come corri verso di lui, per come gli accarezzi i capelli, per come nella tua mente lui non sia affatto diverso da ciò che è realmente. Perché sei salda, libera, sana. Perché non fuggi via con la mente, perché lo tieni dentro di te con calma, chiarezza, sicurezza. Perché entro i tuoi confini si ritroverà sempre come si era lasciato.
So che ti ama perché non è un oggetto del tuo narcisismo, che non lo usi come uno specchio nel quale rifletti la tua bellezza e nascondi la tua insicurezza.
Camminiamo in fila, sotto questa pioggia fitta di oggi, per queste strade di periferia, quelle che non avrei mai calpestato senza di te.
Respiro la tua nuvola fredda, che lasci noncurante dietro, io invece ne accarezzo la precarietà, quella di cui non ti occupi tu... vorrei stigmatizzarla, come la mia solita poesia, vorrei averti in fermo immagine, almeno per un momento, per carpirti nella tua interezza... no ti occupi mai della tua eternità... forse perché hai una memoria prodigiosa, che vive dentro di te, che trasformi in presente, attimo dopo attimo.
Anche per questo lui ti ama: stende in te la sua malinconia, i suoi anni che passano, i suoi capelli che diventeranno bianchi.
Tu non incidi il tuo nome sui muri.
Ne ho la certezza.
Io lo faccio sempre, con i frammenti di calce, con la ghiaia, con i rami stecchiti degli alberi.
Ti sembrerà buffo, ho tanti anni sullo stesso muro, tanti ricordi vuoti che agonizzano dentro ad un numero: 2006, 2007, 2008...
Ogni muro è l'occhio appannato che ti ha seguito, al pari di ogni altra vita che non ho realizzato.
Ogni muro è il mio tempo eterno e non scandito.
Eppure ci ho anche scritto la data.
Non ti fa paura questa casa addossata a una stazione fantasma, dove non si ferma nessun treno. Non hai paura dei lampioni arancioni, della luce così intensamente artificiale e traballante, dei piccioni che non lasciano tracce cromatiche nel cielo né urla romantiche nella memoria. Non hai paura di essere quello che sei e io amo il tuo vuoto come una fortezza nascosta in seno ai vortici dei miei perché.
Non hai orrore dei platani spogli, delle pozzanghere sporche, delle urla del pescivendolo, dell'odore di rancido di quel fumo di fabbrica laggiù. Questa è la tua poesia, quella che ti porterà via, lontana.
Non hai paura del mondo di Zola, non hai disprezzo per il Realismo.
La tua sagoma scarna compare dietro una tenda colorata. Ti spogli senza paura dello specchio.
Osservo le tue forme e le so strette a lui, protese nel loro amore carnale, che non pensa né a ieri né a domani.
Non sai nulla del baratro del tempo, non sai che il futuro e il passato possono essere percorsi avanti e indietro, perché sono comunque ciò che abbiamo perduto. Non sai che lo perderai dopo averlo avuto dentro di te, e non lo fai sapere a lui, che è già alla tua porta.
Lo vedi, il tuo futuro è già il mio passato, e il mio futuro e il tuo, terribilmente asincroni, si allontanano.
Non hai paura né imbarazzo nell'aprirgli svestita.
Io sì, io ho paura, ora che il mio pudore mi riporta nella notte, nell'odore di rancido, nelle pozzanghere sporche. Ora che vi lascio soli.

Cerco la luna, per ritrovare il mio punto cardinale.
Già il mio punto cardinale, tu, che stai con lei che io ho seguito, o la luna, similmente sopraelevati, lucenti, intoccabili.
So che non lo vedrai quando scenderai: sì, non vedrai il mio nome, inciso sul muro con l'ultima moneta da 500 lire che mi hanno rifilato al posto di euro due.
Ridi, ridi con lei.
Ti ho lasciato una margherita sul parabrezza.
Mi piacerebbe rimanere a vedere se, in fondo, ti lasci incantare anche dalla mia Luna, lontana, siderale, vestita di plurimi strati. Non lo sai ma tu, dalla mia prospettiva lontana e lunare, bianca, crostosa, piena di crateri, hai la meraviglia cromatica della terra, il blu oceanico, il giallo desertico, il verde fertile... tu, dalla mia prospettiva, inconsapevolmente eserciti la tua gravità su di me che, velata, onnipresente, ti osservo di notte, multiforme, malferma, bisognosa della tua distanza, per non perdere l'equilibrio.
Resto avvolta nella mia prospettiva e ti osservo. Questa è l'ora in cui lei scompare, avvolta nella notte. E' l'ora in cui la stacco da me per stare da sola con te: è per questo che ogni tanto la Luna perde qualche spicchio.
Ti sembrerà contorto: seguo lei, amo lei, perché non so amare te.
Ti sembrerà contorto: amo lei, perché amo te.

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